Come ci si può confrontare con le domande più ingombranti dell’uomo, quali il rapporto con la morte, la sparizione degli affetti, il senso del tempo? Come regolare i conti con il dolore e con l’assenza? Come riappacificarsi con i propri limiti dolorosi nell’avanzare della fredda tecnologia? Sono questi i temi toccati da “Solaris”, pietra miliare della fantascienza trasformato da Andrej Tarkovskij in uno dei più grandi film della storia del cinema, che viene proposto al Meeting di Rimini sotto forma di dramma teatrale grazie alla riduzione per il palcoscenico di Fabrizio Sinisi (drammaturgo della compagnia Lombardi-Tiezzi) ed alla messa in scena del regista Paolo Bignamini (Teatro Novelli, Martedì 22 agosto, ore 21:30).
Uscito come romanzo nel 1961 a firma di Stanlislaw Lem (autore polacco che ha pubblicato in carriera altri titoli importanti come “L’invincibile”, “L’indagine” e “Il pianeta del silenzio”) e poi sul grande schermo nel 1972, il testo segue il pellegrinaggio astrale di Kris Kelvin, uno psicologo del futuro, inviato sulla Solaris Station per capire cosa sta accadendo all’equipaggio di questa astronave che orbita attorno al misterioso pianeta Solaris. L’epilogo della vicenda dichiara apertamente che c’è vita solo nel coraggio con cui Kelvin affronta il futuro senza paura del passato, con tutto il suo carico di memoria, dolore e mistero. Non sembra un caso, dunque, che il Meeting abbia inserito Solaris nel suo cartellone: l’opera di Lem analizza un futuro-presente in cui vengono sradicati valori e dimensioni affettive, familiari, religiose, sociali, culturali.
In scena i protagonisti della pièce alternano la loro presenza su piattaforme-iceberg immerse nell’oceano del pianeta Solaris, quasi, afferma il regista Bignamini, a «simboleggiare gli spazi dove i personaggi si confrontano con lo sconosciuto». Un confronto a cui contribuisce l’essenzialità del linguaggio teatrale, con le scene di Francesca Barattini, i costumi di Gerlando Dispenza e le luci di Fabrizio Visconti, a ricreare emozioni gelide nel loro inquietante lirismo. I protagonisti sul futuribile palco del Meeting sono tre: Giovanni Franzoni (attore dalle mille esperienze, da Dario Argento a Liliana Cavani, da Andrèe Ruth Sammah a Gabriele Salvatores) è un lacerato Kris Kelvin; sua moglie Hari ha il volto di Debora Zuin (attrice di scuola Strehler con un curriculum in cui risaltano le collaborazioni con Ronconi e Federico Tiezzi); mentre tocca ad Antonio Rosti (anche lui diretto in passato da registi come Dario Fo, Franco Parenti, Elio Petri) dare volto al prof. Sartorius, un non-Virgilio che costringe lo psicologo a scoprire le forze interiori per uscire dal girone infernale del mistero senza radici e significato.