Siria, la pace inizia da quelli che non se ne vanno

Press Meeting

La Siria continua a focalizzare l’attenzione di questa edizione del Meeting. Dopo la mostra e le lezioni degli archeologi, questo pomeriggio si è fatto un viaggio dentro la carne viva della Siria di oggi, in compagnia di un gesuita che raccoglie famiglie e bambini disabili ad Homs, di sovrintendenti archeologici che rischiano la vita per proteggere i siti della civiltà europea e del nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari, presente attraverso una video intervista del portavoce del Meeting, Stefano Pichi. A loro si sono uniti i due studiosi, grandi protagonisti di questa avventura siriano-riminese: Paolo Matthiae e Giorgio Buccellati. Ne è venuto fuori il quadro, anzi, per usare un’espressione ricorrente nei vari interventi, il mosaico di una realtà composita dal punto di vista religioso ed etnico, dal quale, è la sicura speranza degli intervenuti, rinascerà l’unità di questo Paese. L’incontro è stato coordinato da Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Comunione e Liberazione.
I sovrintendenti delle regioni di Aleppo (cantata da un arabo, precursore di Dante, come una “valle dell’Eden per chi vi giunge”), Ebla e Urkesh, seduti in prima fila, hanno raccontato di gente che non fugge e resta al suo posto. Di guardiani che impiegano undici ore e spendono metà dello stipendio per raggiungere i siti da proteggere e rischiano di essere ammazzati, perché visti come rappresentanti del governo di Assad. “Vertici e dipendenti del Direttorato delle antichità di Siria stanno vivendo il loro momento glorioso – ha riconosciuto Buccellati – in linea con la loro tradizione di professionalità, coraggio e amore per la propria storia”. I siti da tutelare (sei sono nell’elenco dell’Unesco) sono saccheggiati da bande di scavatori clandestini che vanno con le ruspe, protetti da gente armata e che razziano tutto. Quando non ci sono loro, è la volta degli eserciti contrapposti, che si trincerano in siti dal valore inestimabile, che poi vengono bombardati dagli avversari, come ha denunciato Matthiae, che ha anche puntato il dito contro le distruzioni dei fondamentalisti fanatici, “desiderosi soltanto di annientare totalmente tutto ciò che è identità dell’altro”. Restano i sovrintendenti e i loro collaboratori e la gente comune a difendere i siti, perché “chi attacca i nostri beni culturali attacca la nostra identità nazionale”.
Non se ne sono andate le maestranze locali di Urkesh che hanno imparato il lavoro dai coniugi Buccellati, come il sorridente Hammed, che in un video mostra dei cocci di vasellame appena recuperati. Oppure Amena, alle prese con vestiti e bambole di stoffa che, via Damasco-Beirut, sono arrivati fin qui al Meeting. Il direttore generale delle Antichità di Siria, Maamoun Abdulkarim, è rimasto a Damasco e ha mandato un video nel quale chiede che la vicenda dei siti archeologici siriani divenga un problema internazionale, perché cessino le distruzioni e tutti i Paesi impediscano il contrabbando dei reperti razziati. Un appello che Matthiae ha già raccolto. A Roma, infatti, fino al 31 agosto, a Palazzo Venezia, è aperta una mostra promossa dall’archeologo e da Francesco Rutelli, intitolata “Siria, splendore e dramma”.
Non se n’è andato il nunzio, anche lui bloccato a Damasco, che ha affidato a Stefano Pichi parole di speranza nonostante il “cuore spezzato” dai morti, dalla distruzione dei monumenti, dalla fine di una pace che per anni aveva fatto della Siria e del Libano vere e proprie isole di convivenza in tutto il Medio Oriente. “Bisogna aiutare i cristiani a restare”, ha concluso monsignor Zenari.
Un cristiano che è restato è il gesuita Ziad Hilal, coordinatore dei centri di educazione per bambini del Jesuit refugee service (Jrs), che vive ad Homs, nella stessa parrocchia nella quale abitava il gesuita olandese padre Frans, assassinato il 7 aprile scorso. Attraverso un video, Ziad Hilal ha presentato il Jrs nato nell’aprile del 2012, che oggi assiste seimila famiglie, non solo cristiane, della regione e si occupa di decine di bambini disabili. “Quest’opera è un segno di riconciliazione – ha detto – una realtà viva contro la disgregazione di questo mosaico religioso e culturale che è la Siria. Il compito di noi cristiani è dare la vita per il nostro popolo. La violenza e l’odio non possono costringere l’uomo a lasciare il proprio posto. Per questo restiamo, per salvare la civiltà del nostro mondo”.
Secondo Fontolan “la pace è un cammino di conoscenza, di educazione e di incontro, che invita alla scoperta che l’altro è un bene per sé”. Questo pomeriggio, studiosi, impiegati, uomini e donne comuni, sacerdoti hanno raccontato di essere già in movimento.
(D.B.)

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