“Siete uomini senza patria. Senza patria perché siete inassimilabili a questa società”. Nell’agosto del 1982, ricevendo un gruppo di studenti di Comunione e liberazione, Giovanni Paolo II ebbe a dare questa definizione di coloro che seguivano don Giussani. Definizione che è diventata il titolo dell’ultimo libro della collana Rizzoli dedicata alle conversazione di Giussani con i responsabili degli universitari del suo movimento (incontri che andavano sotto il nome di “Equipe del Clu – Comunione e liberazione universitari”). A questo libro, oggi pomeriggio, è stato dedicato l’ultimo appuntamento del Meeting, coordinato da Emilia Guarnieri. Vi hanno preso parte Eugenia Roccella, sottosegretario di stato al lavoro e alle politiche sociali, e Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle opere.Prima di dare loro la parola, la Guarnieri ha ricordato che, come ebbe a spiegare don Giussani, non ha patria non chi semplicemente professa dei valori cristiani ma chi ha riconosciuto Cristo presente, oggetto di esperienza. “Questo incontro continuo ci rende appassionati a tutto e a tutti – ha detto la presidente del Meeting – La familiarità con Cristo ci rende consapevoli del nostro limite e allora degli altri, diversi da noi, abbiamo bisogno. La nostra apertura al reale non è una forma di tolleranza ma un riconoscimento della ricchezza altrui”.
“Mi sento molto a casa”. Sono le prime parole della Roccella. Negli anni in cui don Giussani parlava ai ragazzi del CLU in occasione dell’equipe, la Roccella viveva gli ultimi scampoli della sua esperienza radicale. Ripercorre quegli anni attraverso l’analisi di alcune “parole-refrain”, come lei stessa usa chiamarle, ricorrenti nei discorsi degli aderenti al movimento di Comunione e liberazione. “Parole che sono esattamente le mie; una di queste che per me ha estremo significato è il termine esperienza”. Racconta della sua formazione di stampo fortemente laicista e anticlericale; suo padre aveva fondato il partito radicale. “Io però credevo; sono stata battezzata a cinque anni e poi ho preso il sacramento della comunione”. Durante la militanza femminista era stata tutta assorbita dalla politica e il fatto di credere o meno era del tutto ininfluente. Seguì la decisione di abbandonare la vita politica per far fronte a gravi vicissitudini famigliari: “In questi anni mi sono resa conto di pregare e che non avevo mai smesso di farlo, avevo sempre continuato un dialogo a tu per tu con Cristo; ma lo avevo confinato in uno spazio privato, dividendolo dallo spazio pubblico”.
Nasce il desiderio di non negare una parte di sé, di dare spazio a quello che era accaduto: un incontro. “Bisogna far diventare l’io un noi perché solo così l’incontro è reale. Non significa stare insieme ma riconoscere l’un l’altro questa esperienza, così da riconoscerla pienamente in se stessi”.
Parla della biopolitica prendendo spunto da un’altra parola a lei cara: vita. Si sorprende del fatto che Giussani ne faccia poco uso, preferendo ad essa il termine “umano”. “Questa parola è più corretta perché non solo indica la difesa della vita ma ne dà il motivo: difendiamo la vita perché essa ha un significato. Non dare ma cercare il senso della vita; il significato dell’esistenza Giussani lo situa nell’incontro con Cristo”.
Segnala alcuni grandi pericoli della post-modernità, ricordando la nascita della prima bambina in provetta trent’anni fa “concepita fuori dalla relazione dei corpi. La manipolazione delle evidenze originarie è una minaccia all’uomo. L’esperienza si fonda sul corpo e sulle relazioni, è un sapere incarnato. Cosa succederà ad un bambino che si ritrova ad avere sei genitori?”. Cosa significa “Uomini senza patria?” “Si è senza patria non se si rispettano dei valori ma se si rimane fedeli a se stessi, irriducibili alle forme del potere; è possibile se si obbedisce, la condizione secondo don Giussani per essere veramente liberi”.
Scholz ha ripetuto le prime parole di don Giussani agli universitari, dopo l’incontro con il papa, nell’estate del 1982. Erano a Colfosco. “Tutta la nostra attività, dal 1973 ad oggi – disse don Giussani – è stata per avere una patria, ma questa patria non l’avremo mai”. Lui, tedesco, e gli altri universitari stranieri quasi ci rimasero male, perché le opere di Cl, per loro, erano il massimo che si potesse fare. E don Giussani chiarì: “Per dieci anni abbiamo lavorato sui valori cristiani ma senza conoscere Cristo”. La delusione fu presto superata, soprattutto grazie al modo che aveva don Giussani di tradurre nel quotidiano ciò a cui richiamava. Scholz ha ricordato due caratteristiche del fondatore di CL. La prima era che Giussani metteva sempre al centro la persona con cui parlava. “Ragazzi – diceva il sacerdote milanese – la cosa più seria del mondo sei tu, perché tutto il resto viene fuori da lì. Il tuo ‘io’ è irriducibile e non ce ne sarà un altro per l’eternità. Mentre la società cerca di annegare l’affezione a sé, uno diventa cristiano e sta in CL proprio per questa affezione”. “C’era poi il modo con cui poneva le domande – ha aggiunto il presidente della CdO – Un livello e una radicalità a cui, secondo me, è arrivato soltanto Nietzsche”.
Tre episodi gli sono stati richiamati alla memoria dalla lettura del libro: una manifestazione a Friburgo, in Germania, in favore di Solidarnosc, con i presenti ad urlare che i polacchi di Walesa prendevano i soldi dalla Cia; la campagna per il referendum sull’aborto; un’assemblea a Milano per i problemi della casa (“un fallimento”, secondo Scholtz) al termine della quale, però, una ragazza aveva deciso di battezzarsi. “In tutti quei casi fu chiaro che non bisogna perdere la ragione ultima per la quale le cose vengono fatte e bisogna seguirla fino in fondo. E poi la consapevolezza che nel nostro agire c’è qualcosa che sorpassa noi e i nostri limiti”.
“Essere senza patria vuol dire che la consistenza nostra e del reale è Cristo. Per questo don Giussani non metteva mai al centro questo o quel progetto ma la costruzione del soggetto. Voleva che fossimo soggetti, persone libere. Questa accento sulla libertà non ci ha portati fuori dal mondo ma dentro tutti i meandri della vita. Essere senza patria ci dà la possibilità di creare case ovunque e di essere a casa dovunque”“Oggi – ha concluso Scholz – sono pieno di gratitudine per l’abbraccio di don Giussani, per l’incontro con Carron, per tutti quegli amici che ti ricordano che nella compagnia di Cristo noi, che da soli saremmo nulla, invece siamo tutto. È uno stupore infinito, che uno vorrebbe rimanesse vivo in ogni momento”.
Al termine, la Guarnieri ha letto il comunicato conclusivo del Meeting e reso noto il titolo del prossimo anno: “La conoscenza è sempre un avvenimento”.
( L. A.; D. B.) Rimini, 30 agosto 2008