Indagare e riflettere sul tema della XXXIII edizione del Meeting: “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”. Pensare il rapporto che lega ognuno di noi all’infinito, chiederci come fa don Giussani nel “Senso religioso”, cosa questa affermazione provochi nell’uomo e in che modo filosofi e teologi affrontano il tema e lo mettono in relazione con il pensiero contemporaneo. Questi gli obiettivi dell’incontro di questa sera in sala C1 Siemens, cui hanno preso parte Aaron Riches, docente di teologia dell’Università di Granada e di Nottingham, Andrew Davison, sacerdote anglicano e docente ad Oxford e John Milbank docente nell’ateneo di Nottingham e principale esponente del movimento “Radical Orthodoxy”. A presentarli e introdurli al pubblico, Letizia Bardazzi della Fondazione per la Sussidiarietà.
L’intervento di Riches è partito dall’importanza del pensiero di don Giussani nello sviluppo della sua riflessione teologica e ha cercato un’indicazione possibile su come possa costituirsi il rapporto tra uomo e infinito. “Per alcuni l’uomo non può raggiungere il soprannaturale a causa della sua finitezza. Può farlo solo per l’intervento della grazia. Ma posizioni di questo tipo costruiscono un sistema astratto della pratica cristiana. Non ricordano come Cristo si sia fatto uomo, come l’infinito si sia fatto finito per incontrarci, per chiederci di seguirlo – ha spiegato al pubblico – e la sequela, il seguire, come ricordava Giussani è esperienza fondamentale del cristiano. È l’incontro con Cristo”.
“Non dimentichiamo che Gesù chiede agli apostoli di seguirlo e la teologia nasce da un atto concreto. Non possiamo correre il rischio descritto dal poeta inglese T.S. Eliot: ‘abbiamo vissuto l’esperienza, ma ci è sfuggito il significato’. La teologia non può essere solo spiritualizzata, non può esulare da concreto e reale. E Cristo è la rivelazione dell’uomo a se stesso, ci apre al destino a cui ci ha chiamati”.
Secondo Andrew Davison la parola cruciale è “rapporto”. “Don Giussani disse che la natura dell’uomo è rapporto, non in rapporto – non è una sottigliezza semantica – il rapporto coglie la pienezza di Dio, della vita. Non abbiamo sostanza, non c’e rapporto con Dio. E Dio è rapporto fatto sostanza. Rapporto con l’infinito”. Per Davison non è questione di dimensione. Dio non è grande, non è migliore, è infinito”. Ricorda Tommaso d’Aquino: “È infinite forme e infinita particolarità”. Il rapporto con lui lo viviamo e lo elaboriamo anche attraverso “le forme sensibili”, attraverso i nostri rapporti: la famiglia, gli amici, gli altri.
Con Milbank si opera, invece, il tentativo di superare il falso dualismo moderno tra “fede e ragione, grazia e natura”. “Oggi la dignità è considerata elemento fondante dell’essere uomo – osserva Milbank – ma sempre a partire da condizioni esterne alla vita. Dignità è una morte senza dolore, priva di problemi fisici. Dignità è liberta. Un adulto accetta o rifiuta un contratto sociale, sceglie cosa fare liberamente e senza vincoli. Confort, successo, consumo, sono questi i valori e gli obiettivi”. Tutto è sempre rivedibile, ridiscutibile: un matrimonio, un lavoro, una promessa, un impegno. “Così oggi l’infinito è considerato o lontano e incomprensibile, roba di cui non occuparsi, o per converso una modernità infantilistica afferma di comprenderlo senza problema – ha continuato Milbank, citando quindi Immanuel Kant – per il filosofo tedesco giustamente l’uomo (e la sua libertà) sono sempre un fine, mai un mezzo. Ma l’uomo può anche diventare fine e mezzo nello stesso tempo. Perché gli uomini sono il mezzo attraverso il quale il cosmo ritorna e Dio e ne celebra la sua gloria”.
Come ha osservato in chiusura Letizia Bardazzi, ha osservato come i tre interventi “abbiano parlato della novità di vita che Gesù ha portato nel mondo, del modo concreto di realizzazione del rapporto con l’infinito. Il punto di partenza della teologia sta tutta qua. Nel venire incontro alla nostra persona così piccola eppure fatta proprio per l’infinito”.
(C.B.)
Rimini, 23 agosto 2012