Rimini, 19 agosto – Barabba, l’assassino. Il prigioniero liberato in cambio di Cristo. Un uomo senza scrupoli, ingiustamente beneficiario di una grazia negata invece a un innocente. Qui si ferma la nostra comune considerazione di questo personaggio, crudele comparsa del Vangelo. Midnight Barabba, lo spettacolo andato in scena ieri sera al restaurato Teatro Galli di Rimini – replica stasera alle 21.45 – ce ne ha mostrato invece un volto umano, più profondo, inquieto. Un volto che suscita nello spettatore un’inattesa immedesimazione.
Ispirato al capolavoro di Pär Lagerkvist, che valse all’autore il Premio Nobel per la Letteratura nel 1951, questa nuova versione scenica diretta da Otello Cenci (autore del testo con Giampiero Pizzol) trova la sua cifra originale in un’efficace idea registica: l’ambientazione moderna, mondana, quanto mai attuale, nella quale si intrecciano, come fili di un tempo della coscienza, eterno, scene della storia di Barabba. Questa dimensione metateatrale permette di mettere in evidenza la modernità del personaggio e degli interrogativi che lo animano. Egli, inaspettatamente liberato, deve la sua vita a uno sconosciuto che è morto al suo posto. Il fugace incontro con quell’Uomo scava in lui un’inquietudine nuova, un’attrazione di cui sa rendersi ragione e che tenta continuamente di respingere. Suo malgrado, sente che la vita che gli è stata restituita in qualche modo non è più la stessa, perché abitata da una Presenza nuova. In questo Barabba inquieto, inseguito da un bene ma incapace di aderirvi si rispecchiano i personaggi contemporanei che animano lo spettacolo.
La notte dell’assegnazione del Nobel la compagnia di attori che dovrebbe recitare parti del romanzo di Lagerkvist è in ritardo; si improvvisa interprete, così, un gruppo di invitati all’evento. Ciascuno di loro incarna una diversa umanità, un diverso modo di vivere i drammi dell’uomo moderno: c’è un regista cinematografico che afferma, con segreta angoscia, il non senso dell’esistenza ed elogia una vita spesa tra drink e distrazioni; c’è uno scrittore idealista e malinconico, perennemente in lotta con la modernità che privilegia le logiche borghesi alla ricerca di ciò che è vero e autentico; c’è una giornalista sensibile e intelligente, convinta della positività della propria azione nel mondo, ma che deve spesso scontrarsi con evidenze contrarie; c’è la ricca, disillusa e annoiata padrona di casa; e c’è infine il marito, rispettabile altoborghese impegnato a mantenere una distinta posizione sociale.
Per tutti loro l’incontro con Barabba e con i personaggi che egli incontra sulla sua via dopo essere stato inaspettatamente salvato dalla crocifissione significa iniziare a guardarsi con più verità, sciogliere le proprie finte sicurezze, scoprire i propri veri volti dietro alle maschere, al cinismo, all’entusiasmo ingenuo.
La messa in scena delle vicende del prigioniero liberato costituisce un’esperienza di scoperta tale di tale intensità che, quando la compagnia ufficiale finalmente arriva, gli attori improvvisati chiedono di poter continuare a recitare al posto loro. Essi si sentono raggiunti nel profondo dalla storia di chi è stato toccato da Cristo, come quando la ricca padrona di casa (Carla Guido) afferma che, come accade alla leporina, sarebbe bello potersi sentire così amati da essere liberi, davanti al Messia, di non chiedere nemmeno la guarigione fisica, perché si ha già tutto.
(T.G.)
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