Rimini, venerdì 24 agosto – Alle ore 15, nel Salone Intesa Sanpaolo A3 si è svolto un incontro di caratura internazionale tra Olusegun Obasanjo, già presidente della Nigeria, e Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione tra i popoli.
A coordinare il dialogo Paolo Magri, vice presidente esecutivo e direttore di ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), in collaborazione con Stefano Manservisi, direttore della Direzione Sviluppo della Commissione Europea, che così ha presentato l’ospite africano: “Obasanjo è un uomo di stato che ha svolto un ruolo cruciale nella storia africana, nigeriana in particolare. Ha contribuito a istituire la democrazia in Nigeria dopo il colpo di stato del 1975. Due volte presidente della Nigeria, alla possibilità di un terzo mandato, ha declinato l’invito del partito a presentarsi alle elezioni per favorire il consolidamento del processo di democratizzazione nel suo paese. La Nigeria è il paese più popoloso dell’Africa e la prima potenza economica. Tuttavia si trova al 192° posto come indice di sviluppo umano”.
Magri presenta una slide con i dati che si riferiscono ai cambiamenti demografici intercorsi nella po-polazione mondiale nell’arco di un cinquantennio: l’Africa è cresciuta dal 9% al 25% in rapporto alla popolazione mondiale; l’Europa è passata dal 22% al 7%. Secondo Prodi “o c’è una presa di coscienza di questi dati di fatto, o il dramma è inevitabile. Non c’è altra strada che un accordo forze diverse, come l’Europa e la Cina, perché quest’ultima è intervenuta in Africa trovando amicizie, ma anche inimicizie”. Per Obasanjo ci sono due modi di considerare la demografia: “O come una risorsa o come un peso. Nel corso degli anni la demografia è ciò che ha contribuito allo sviluppo delle comunità”.
Nella tavola rotonda si discute di conflitti che riguardano l’Africa e lo scenario mondiale, delle opportunità di crescita e di sviluppo economico e sociale sul piano globale, di disuguaglianze sociali, di sfruttamento, di migrazioni, di pulsioni neocolonialiste che stanno investendo l’Africa. A proposito dei conflitti che attraversano il continente nero (e non solo), Prodi condivide la definizione di papa Francesco di una guerra mondiale a pezzi: “Vi è una sorta di ‘effetto Peloponneso’ per cui si stabilizzata un’area e si destabilizza un’altra”. Nel contesto dell’Africa subsahariana Prodi ha rilevato l’assenza dell’Onu. Ancora più assente è l’Europa, anche nei contesti più vicini a noi, come il conflitto siriano e quello libico”.
Dopo la fine della guerra mondiale, la guerra fredda pur garantendo un certo equilibrio determinato dal deterrente atomico, non ha risolto l’insorgenza di conflitti di minor intensità, che pure hanno determinato milioni di morti, hanno concordato Manservisi e Obasanjo. “La migliore soluzione sarebbe quella per cui siano gli africani stessi a trovare soluzione ai loro problemi”, ha affermato il leader africano. Obasanjo ha documentato come sia la Sierra Leone che la Liberia siano riusciti a superare i problemi interni da soli: “C’è bisogno di sussidiarietà. Ci si deve appellare alle proprie capacità, invocando un aiuto terzo in caso di impossibilità di risoluzione dei problemi”.
Eppur si cresce. Prodi ha mostrato come l’Africa e, in generale, i paesi in via di sviluppo conoscano un buon trend di crescita e tuttavia crescano anche le disuguaglianze. Questo perché subentra “la finanziarizzazione dell’economia e nuovi soggetti intermediari come Amazon, Google, Apple. Un neomarxista dovrebbe invocare ‘Intermediati di tutto il mondo unitevi’”.
Quanto alle migrazioni, il presidente Prodi ha ricordato che “esse sono sempre esistite. Non a caso si parla già nella bibbia di esodi biblici. Oggi le migrazioni sono necessarie per sostenere diverse professioni, oltre che per sostenere la crescita della popolazione. Il problema del futuro è gestire le migrazioni”.
Rispondendo, in conclusione, alla domanda su come gli africani vedano il nostro dibattito sulle mi-grazioni, Obasanjo ha fatto una duplice riflessione: “Si dà spesso la colpa al colonialismo. Ma dopo la fine del colonialismo noi cosa abbiamo fatto?”. E per quanto riguarda i paesi occidentali, ha sollevato il dubbio se si possa sacrificare sull’altare delle elezioni la storia di virtù e di valori dell’occidente cristiano.