Luigi Amicone, Direttore di “Tempi”, il giornale che è promotore dell’incontro, inizia questo appuntamento dichiarando con sicurezza che nell’esperienza degli ospiti al suo fianco c’è più realtà che in tutte le analisi editoriali che si leggono ogni giorno.
L’affermazione risulta verissima ascoltando la testimonianza (raccolta in un libro) dello scrittore cambogiano Ong Thong Hoeung, che racconta del suo viaggio, quand’era un giovane “progressista”, in Francia; della scoperta di un mondo molto più progredito; degli anni delle proteste anti-imperialiste per la guerra in Vietnam; della sua vita nell’Occidente. Poi, nel 1975, i khmer rossi prendono il potere in Cambogia ed in Europa c’è chi incomincia a denunciare i crimini di quel regime, raccontando di atrocità. Ong Thong è un giovane progressista e non crede che i suoi compatrioti siano capaci di ammazzarsi tra loro: queste notizie sono frutto della propaganda americana. Quindi decide di partire e, dopo 10 anni, torna in patria. Sceso dall’aereo si aspetta di trovare amici e parenti ad accoglierlo, ma incontra un aeroporto deserto, abitato solo da militari che neanche lo degnano di una parola. Sarebbe subito tornato indietro, se non gli avessero sequestrato immediatamente il passaporto. Così gli è toccato vivere per quattro anni in un campo di rieducazione, stando di fianco a gente prima conosciuta, che non lo salutava nemmeno. Tutto ciò che si diceva in Francia era vero, e ora il libro che ha scritto sulla vicenda non piace ai progressisti…
Forse di minor drammaticità, ma uguale interesse, è il contributo di Gian Micalessin, giornalista. Lui ricorda della sua esperienza di giovane triestino, turbato dall’altro mondo oltre la frontiera; parla della sua vecchia voglia di scoprire Paesi diversi e del suo viaggio-avventura in Afghanistan al tempo dell’invasione sovietica; racconta della sua visita in Cambogia ed in Palestina. Queste situazioni gli hanno insegnato che la guerra non è come nei film: è un’interminabile noia a cui si aggiungono ogni giorno cadaveri. Ma, ancor di più, gli ha reso evidente l’ottusità delle ideologie e gli ha fatto intuire che l’utopia ed il fanatismo che accompagnano i nostri giorni sono quelli della madre (come ne ha intervistata una in Palestina) che, senza problemi o emozioni, sacrifica i suoi figli, educandoli ad ammazzarsi ed ammazzare nel nome di Allah.
Erica Scroppo, pubblicista ed insegnante, non racconta di guerre vissute sul campo. Presenta il suo libro (edito proprio da “Tempi”) e ciò le dà l’opportunità di parlare anche di sé. Il testo nasce dall’impressione negativa che le hanno fatto – nonostante lei fosse, negli anni dell’università, un’assidua frequentatrice della piazza – i pacifisti d’oggi: bambocci che ripetono slogan e credono che per portare pace basti urlarne la parola. Erica da giovane, ha fatto parte di Lotta Continua ed è stata sempre, in fondo, cosciente del lato negativo del comunismo, benché rispondesse sempre, alle solite critiche, di non essere stalinista (ovvero col peso di milioni di morti), bensì trotzskista (ed essendo Trotzskij morto presto, nessuno saprà mai cosa avrebbe fatto una volta al potere…); inoltre non esaltava regimi come l’URSS o la Cina (oggettivamente criminali), ma sosteneva calorosamente la dittatura progressista cubana. Il suo contributo termina con una provocazione: è vero che utopie ed ideologie producono conseguenze negative, ma è difficile affermare che sia meglio avere una gioventù attenta solo alla firma sulla maglietta. La soluzione è nel tenerci e migliorare quelli che lei ironicamente chiama i “nostri noiosissimi regimi democratici”, che ci permettono di raccontare esperienze, come è accaduto stasera.
Amicone coglie, in conclusione, la morale dei tre racconti: tutto si gioca al livello della persona, e l’utopia è il tentativo di prescindere dalle persone per creare un mondo dove la persona stessa non esiste più: il Paradiso perfetto. Ma è solo il cambiamento della persona che permette il cambiamento del mondo verso la pace.
E. M.
Rimini, 26 Agosto 2004