“Per me conta la persona”: questo è il messaggio contenuto nella citazione che Alberto Savorana, direttore di “Tracce”, ha tratto dal libro di Magdi Allam per introdurre l’incontro di oggi. Si tratta di un’autobiografia che si intreccia con le vicende del mondo di questi anni: la passione per la verità dell’autore, che ha messo a rischio la sua stessa incolumità, lo rende ancora più interessante e, “per me, veramente amico”. Quale differenza di approccio ai rapporti ci sarebbe se il criterio fosse dettato da una simpatia sincera all’altra persona perché condivide lo stesso cuore e le stesse radici!
Magdi Allam ha confessato quanto “impegno e sacrificio” gli sia costata questa “descrizione onesta e sincera” di come ha vissuto in Egitto i suoi primi vent’anni: è stato costretto infatti a rendere pubbliche vicende personali e sentimenti intimi. Lo scopo è quello di trasmettere concetti che oggi risultano difficili anche solo da immaginare a causa del condizionamento del terrorismo islamico e dell’estremismo che lo alimenta. Lo stereotipo dell’“homo islamicus” non ci permette di riconoscere l’umanità della maggioranza delle persone che popolano i Paesi arabi e musulmani. La stessa umanità che l’autore, bambino, vedeva nei genitori, pur in forme diverse: la madre impegnata e praticante, con una evoluzione – o involuzione – verso l’estremismo dopo il trasferimento in Arabia Saudita per motivi di lavoro; il padre, invece, laico che – come la maggioranza delle persone – non percepiva alcuna contraddizione tra l’essere musulmano e il partecipare alla modernità rappresentata dall’Occidente. C’era una sorta di osmosi tra il resto del mondo e l’Egitto, in cui pure la società rimaneva musulmana, non negava né era indifferente alla religione: piuttosto si realizzava una “commistione salutare tra religione e ragione”. La religione era contestualizzata in un ambito di umanità, per cui l’uomo veniva prima dell’ideologia. Del resto, storicamente, l’Islam si è sempre declinato come pluralità: un crogiuolo in cui, nel tempo si sono fuse diverse etnie e tradizioni. Occorre dunque riscoprire la grande umanità che c’è nei popoli musulmani e che in Egitto si esprime attraverso caratterizzazioni semplici come, per esempio, l’umorismo o la socialità. La pluralità appartiene al DNA di questi popoli, mentre l’integralismo è frutto di una involuzione legata alla sconfitta del 5 giugno 1967. Il terrorismo è la deriva più sanguinosa di questo processo, un manicheismo che vedeva contrapposti musulmani e infedeli: infatti ha un’identità aggressiva e non reattiva. In questo senso occorre rendersi conto che esistono processi endogeni alle società: per capire i fatti del mondo non bisogna mettere sempre al centro l’Occidente. Il terrorismo è “una scorciatoia che a un certo punto di aberrazione ideologica taluni hanno intrapreso per arrivare al potere”.
Viviamo in un clima tanto avvelenato che ci sono persone che, in buona fede, sostengono la legittimità della scomunica di chi ha idee diverse: come coloro che giudicano quando si possa essere considerati “veri musulmani”. Quando si dice che chi beve un bicchiere di vino o sostiene posizioni diverse dalle proprie non è un vero musulmano, si finisce per adottare il principio della condanna di apostasia contro la grande maggioranza dei musulmani. Dunque il titolo del libro è insieme un’esortazione e un atto di fiducia: la denuncia è solo il primo passo verso ciò che conta veramente, cioè la costruzione di una civiltà che abbia come cardine la sacralità della vita di tutti.
L’incontro è poi proseguito con una serie di domande dal pubblico, che hanno provocato Magdi Allam sui temi più disparati: dalla posizione di Oriana Fallaci, che il giornalista considera negativa tanto quanto quella di Bin Laden, alla figura degli imam, che spesso vengono erroneamente considerati autorità religiose e non funzionari quali sono. Allam si è detto ottimista sul fatto che alla fine l’umanità potrà prevalere: occorre solo rivalutare la realtà per quella che è, considerare i fatti e avere l’onestà umana e intellettuale di calarsi nel vissuto della gente. È significativa in questo senso la grande maturità politica e civile dimostrata – contro tutte le previsioni – dal popolo iracheno, che ha votato in massa il 30 giugno scorso.
Tuttavia il contesto odierno ci vede vittime di una vera e propria guerra portata avanti dal terrorismo: se da una parte sono dunque necessari interventi immediati che competono alle forze di sicurezza, ai servizi segreti e alla magistratura, dall’altra occorre avviare un processo virtuoso di integrazione dei musulmani che hanno scelto i vari Paesi occidentali come patria di adozione. Guai perciò a non combattere quella “schizofrenia identitaria” per cui spesso le moschee hanno finito per diventare entità teocratiche all’interno dello stato di diritto, come una sorta di area extraterritoriale: dovrebbero essere invece parte integrante dei valori condivisi della società civile. È dunque necessario assicurare i diritti a tutti i musulmani e riscattare alla legalità le moschee affinché tornino ad essere luoghi di culto.
L’atteggiamento più adeguato per affrontare la situazione di oggi è quello che si trova qui al Meeting: fermezza contro il terrorismo e i suoi apologeti e apertura verso chi è disponibile a intraprendere un dialogo profondo.
Questo è anche il contenuto dell’intervento finale di Savorana, che ha sottolineato come il coraggio per vincere la paura possa nascere solo dall’incontro con persone che amano la vita più della morte e con cui si possa camminare sulla via della pace: da un’esperienza concreta di stima verso l’altro come verso se stessi.
P.S.
Rimini, 24 agosto 2005