Antonio D’Amato, presidente di Confindustria, è venuto al Meeting di Rimini per ripetere le cose che da tempo dice un po’ in tutte le sedi e in tutte le occasioni. Per rimettere in moto l’Italia occorrono le riforme e proprio esse dividono il fronte politico dei riformisti da quello dei conservatori.
A questo punto, secondo D’Amato, esempi storici che dimostrano la bontà della sua analisi ci sono. L’Inghilterra 20 anni fa era ferma, aveva il più alto tasso europeo di intervento statale nel mondo dell’economia, aveva l’invadenza sindacale più pesante d’Europa e il mercato del lavoro più rigido. E’ bastata infatti la stagione thatcheriana con alcune riforme mirate nella direzione della liberalizzazione e della flessibilità, per rendere l’Inghilterra di oggi l’area nazionale che attira, fra gli Stati dell’Unione, la quota più alta degli investitori mondiali; per fare di lei la nazione con un tasso di crescita praticamente doppio rispetto a quello degli altri partner europei.
L’Italia di oggi, secondo D’Amato, ha bisogno di riforme; tutti sanno quali sono le riforme necessarie, a partire da quella delle pensioni, ma troppi ne parlano e basta. A questo proposito non sono mancate alcune stilettate al governo attuale che “era partito con una spinta riformista forte, ma ora questa spinta si è persa”.
Il momento è delicato e i nemici delle riforme potrebbero vincere. Li ha elencati Giorgio Vittadini, neo presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, in un intervento pieno di slancio: moralisti calvinisti che vorrebbero chiudere l’uomo in un rigido schema produttivistico, catto-comunisti nostalgici di ingessamenti bulgari, girotondini e no global che rifiutano la modernità, giustizialisti che ancora si attardano a regolare conti passati, quando c’è bisogno di ben altro, veteroliberisti che ritengono il “modello Florida” esportabile anche in Italia.
Il problema è un altro, ha detto Vittadini. Il liberismo descritto da Smith nel ‘600 non spiega più adeguatamente l’inizio dell’intraprendere moderno; l’impresa italiana moderna non è più solo valore aggiunto e profitto. L’etica non è l’inizio dell’intraprendere, semmai è l’estetica l’inizio dell’impresa. E questo significa che un valore aggiunto solido e un profitto sano nascono là dove l’imprenditore fa il suo lavoro con passione. Passione per la propria intuizione e passione per l’uomo, al quale rivolge il frutto del suo lavoro. L’imprenditore che guarda all’uomo, a ciò di cui ha bisogno ha lo sguardo giusto. L’inizio è questo sguardo all’uomo, dunque: siamo cioè nel campo estetico e non in quello etico. L’intrapresa nasce da questo slancio, il profitto viene dopo. All’inizio ci sono sempre delle persone, o una famiglia con la loro passione. La passione ideale, cioè lo sguardo all’uomo, è più larga, sia delle teorie di Smith che dell’etica calvinista e protestante.
In questo quadro di fondo trovano la posizione giusta alcuni appunti critici che D’Amato ha rivolto ”intra moenia”. Se alla cultura industriale, ha detto, si sostituisce quella finanziaria, l’industria scompare; magari, è al massimo della sua potenza, ma scompare, perché la cultura finanziaria si sostituisce a quella originaria. Allora compri pezzi di giornali, pezzi di distribuzione, un po’ di squadre sportive e l’intrapresa iniziale si estingue.
“Bisogna fare il nostro mestiere da industriali, non da finanzieri”. E ha precisato: se nel capitalismo italiano c’è un problema è un problema di passione. Possiamo definirlo così: troppo spesso le generazioni successive della famiglia imprenditrice hanno preferito costituirsi come centro di potere, cioè si sono buttate nella finanza fine a se stessa.
Detto tutto questo, comunque, D’Amato ha insistito sul tasto di sempre. Occorrono le riforme. E’ vero: si è fatta quella del mercato del lavoro, ma non basta; occorre andare avanti. C’è assoluto bisogno di una vera riforma dell’università, per esempio, perché a questa riforma si lega per ovvii motivi la scommessa sui “cervelli”, il rilancio della ricerca e dell’innovazione. Slancio che a sua volta dovrà essere appoggiato da politiche appropriate. L’innovazione nel modo di produrre, nei prodotti, nei brevetti, rimette in moto gli investimenti, spinge la produzione, permette di incrementare la torta da dividere. E questo era proprio l’argomento che dovevano dibattere a due voci D’Amato e Vittadini nell’incontro antimeridiano odierno svolgendo il tema: “Per distribuire bisogna produrre”, moderato da Raffaello Vignali, neo presidente della CdO.
E.P.
Rimini, 28 agosto 2003