Rimini, giovedì 20 agosto – Non è andata sprecata l’occasione di confronto proposta dal Meeting per aprire un dialogo sulla ripartenza. Cinque parole chiave che tracciano un itinerario chiaro: emergenza, ricerca, prevenzione, rilancio e sostenibilità.
Lavorando sul monito lanciato da Papa Francesco – “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla” – Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà, e Domenico Arcuri, amministratore delegato Invitalia e Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, hanno provato a dare una prima lettura sistematica alle lezioni che possiamo dire aver imparato dalla pandemia, rispondendo agli interventi di Enrico Giovannini, portavoce ASviS; Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani IRCCS di Roma; Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, e Alberto Vacchi, presidente di IMA.
Definendo la natura dell’emergenza, «il Covid-19 non è un evento, statico e circostanziato nel tempo e nello spazio» esordisce Arcuri. «Siamo di fronte ad un flusso: non circoscritto, dinamico ed imprevedibile. Ed è per questo che ci ha colti impreparati. Stiamo imparando a fronteggiarlo rincorrendone gli sviluppi». Questa situazione, dunque, richiede che la ritrovata libertà di questi mesi, dopo il sacrificio imposto dai mesi di lockdown, sia accompagnata da un forte senso di responsabilità, alla ricerca di un equilibrio ragionevole tra rischi collettivi e desideri individuali.
Riflettendo sul contributo della ricerca nella gestione della crisi, continua Ippolito, ci si aspettava da anni un’epidemia; ma la si attendeva da un virus influenzale, e non da un coronavirus, come invece è accaduto. Per questo il Codiv-19 è stato accolto da un iniziale scetticismo: non ci aspettava una pandemia come quella in corso, così come non ci si aspettavano così tanti morti nei Paesi sviluppati. «La lezione che impariamo dalla lotta al coronavirus», conclude dunque il direttore dello Spallanzani, «è che serve un modello nazionale, una guida forte e una catena corta per arrivare preparati a queste situazioni. Bisogna investire nella ricerca sulle malattie infettive e fare ricerca sulla preparazione, garantendo la continuità di cura e di monitoraggio soprattutto in vista dell’autunno».
E proprio pensando all’autunno, Arcuri pone l’accento sull’importanza che avrà, il prossimo 14 settembre, il momento di riapertura delle scuole: «Si tratta di un passo necessario non solo per i fini di istruzione, ma anche e soprattutto per avviare un processo di ritorno alla normalità collettiva». Per questo, ricorda citando Molière, «non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo». E conclude: «Dobbiamo lavorare tutti, come comunità, per raggiungere questo obiettivo: un accettabile livello di sicurezza in tutte le prossime fasi della ripresa».
Guardando al monito che si recupera dal percorso fatto finora nell’ambito della prevenzione, prosegue Locatelli, l’Italia è stato il primo Paese occidentale ad essere investito da un’ondata epidemiologica di quella che era un’infezione a tutti gli aspetti sconosciuta. «Le morti dei nostri concittadini», ricorda, «hanno artigliato le nostre coscienze e ci hanno messi di fronte alla fragilità umana». In quella drammatica situazione, il sistema sanitario universalistico italiano ha dato una cruciale prova di resilienza, assicurando a tutti i cittadini le più efficaci terapie nei diversi contesti, e approntando risorse strutturali e infrastrutturali per aumentare i posti letto nelle terapie intensive.
Ragionando, quindi, su una possibile seconda ondata, ammette che non sappiamo se ci sarà, come sarà e che portata potrebbe avere; certamente non troverà il Paese impreparato così com’era all’inizio dell’emergenza sanitaria. La lezione da imparare tuttavia è immediata: bisogna evitare di disinvestire le risorse destinate alla sanità, puntando invece a potenziare il miglioramento effettivo della medicina territoriale.
Facendo eco a questo avvertimento, Arcuri riporta l’attenzione sugli sforzi straordinari fatti dal SSN durante l’emergenza, ricordando come siano stati quasi raddoppiati i posti letto in terapia intensiva (da 5179 a 9447) e sub-intensiva (da 6525 a 35mila ca.) in poco meno di tre mesi. «Questo sforzo, tuttavia», aggiunge, «è stato figlio dell’ansia e dell’emergenza. Ora abbiamo il dovere di lasciare il nostro Paese in una condizione migliore di quella che abbiamo trovato all’inizio dell’emergenza. E in questo senso vanno gli investimenti voluti dal ministro Speranza, rivolti soprattutto a garantire ulteriori posti letto in terapia intensiva (3600) e sub-intensiva (4800) e a rafforzare la rete dei presidi medici territoriali».
Seguono quindi le parole di Vacchi, che aggiunge un ulteriore contributo guardando agli aspetti strategici ed economici della pandemia. Guardando all’esperienza fatta da IMA durante il periodo di isolamento, tre sono state le strategie che hanno consentito alle aziende che collaborano con questo gruppo di dare un effettivo apporto al bene del Paese nei momenti più critici: automazione, digitalizzazione e reti di impresa: «Le nostre aziende, autorizzate a continuare la produzione per consentire l’approvvigionamento delle mascherine, hanno potuto confidare non solo sulle loro migliori risorse interne, ma anche di tante piccole realtà produttive specializzate, secondo una logica di sostenibilità economica e sociale».
A questo si ricollega Giovannini, toccando l’ultimo punto in programma: la sostenibilità. «È una parola che sembrava esserci venuta quasi un po’ a noia», osserva. «Eppure, mai come durante la pandemia le persone hanno capito la chiara connessione che esiste tra salute e ambiente, tra economia e società». Richiamando quanto ricorda Papa Francesco, «non possiamo vivere sani in un pianeta malato», e per questo è di primaria importanza lavorare per raggiungere una maggior giustizia tra generazioni. «Sviluppo sostenibile», ricorda, «significa soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza pregiudicare che quelle future possano fare altrettanto». Questo principio, certo, non è riconosciuto in Costituzione, in quanto all’epoca, seguendo l’ideale della crescita illimitata, si è stati più attenti a tutelare gli anziani che non i giovani; certi che questi ultimi avrebbero avuto condizioni di vita sicuramente migliori di quelli che li avevano preceduti. «Gli errori fatti in nome della cosiddetta crescita a tutti i costi, tuttavia», conclude, «hanno cambiato la percezione della realtà, e, come dimostra il piano di finanziamenti Next EU Generation, l’idea di sostenibilità ora trova spazio nella coscienza dei consumatori, dei risparmiatori, dell’economia e della politica».
La nota conclusiva di Vittadini e Arcuri, quindi, mette in luce il filo rosso che ha legato i vari interventi: la riscoperta del principio di comunità alla ricerca di nuovi equilibri, ragionevoli, e capaci di conservare e capitalizzare quanto appreso in questi mesi.
(E.S.)
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