Giuseppe Sala, l’ad di Expo 2015, termina il suo intervento con una citazione di madre Teresa di Calcutta: “Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore. Ognuno ha bisogno di amore. Ognuno deve sapere di essere desiderato, di essere amato, e di essere importante per Dio. Vi è fame d’amore, e vi è fame di Dio”. In quel momento l’incontro, “Nutrire la persona, alimentare la speranza. Tra fame, spreco e sviluppo sostenibile” (Sala A3), prende una piega sorprendente: inattesa. Il moderatore Alberto Piatti segretario dell’ong Avsi, passa la parola a Staffan De Mistura sottosegretario agli esteri del Governo.
Il diplomatico esce dai binari dell’intervento scritto, della relazione e entra in quello della testimonianza: “Io al Meeting mi sento a casa. Esco da qui carico d’energia e sentire le parole di madre Teresa mi fa tornare in mente l’occasione in cui la incontrai. Stavo lavorando in Sudan per il World Food Programme. Nel sud del Paese la città di Giuba era assediata dai guerriglieri. La gente moriva di fame. I guerriglieri impedivano di rifornirla via terra e abbattevano gli aerei che trasportavano soccorsi. Il Governo locale faceva finta di nulla, non ammetteva di non controllare la zona”. “Denunciammo la cosa a livello internazionale, raccogliemmo altro cibo ma le autorità non ci autorizzavano a fare decollare i nostri aerei. Intanto, la gente moriva di fame. La mattina successiva vedo entrare nel mio ufficio madre Teresa – continua De Mistura – Era a Roma, ha saputo del problema mentre era a Castel Gandolfo ed è arrivata a Khartoum. Mi chiede cosa può fare”.
De Mistura prova a spiegarle i problemi politici, gli schieramenti. Lei taglia corto, dice: “Così è troppo difficile, chiamiamo Ronald Reagan lui mi ascolterà”. De Mistura è allibito, ma riesce a entrare in contatto con il centralino della Casa Bianca. “Mi prendono per matto, insisto e mi passano un funzionario che mi fa un paio di domande per capire se di fianco a me c’era veramente Madre Teresa. Mi chiede quando lei ha conosciuto il Presidente, quando ha visto l’ultima volta la first lady. Si materializza una consorella, apre un’agenda e snocciola le risposte giuste”. Un’ora dopo sono all’ambasciata Usa e parlano con Reagan. Il giorno dopo due aerei partono per Giuba. Uno vola più in alto per fare da esca ai missili dei guerriglieri, più in basso in un vecchio Dc9 ci sono Madre Teresa, De Mistura e il cibo per la città. Per De Mistura è dimostrazione di come non possiamo pensare alla fame come un problema irrisolvibile. Nella sua lunga esperienza, diciotto missioni in Paesi teatro di guerra, dice di essersi trovato spesso di fronte a situazioni considerate irrisolvibili. Il tempo e il lavoro hanno dimostrato che così non era. “Così affrontare ciò che sembra impossibile è qualcosa che esprime compiutamente il titolo del Meeting, la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito. Mai abbattersi, mai sentirsi sconfitti”.
Ed era stato Giuseppe Sala a descrivere come il problema dell’alimentazione sia globale e quanto l’Expo 2015 possa essere opportunità di crescita per l’Italia: “Sono 95 le nazioni che hanno già aderito. È di oggi la new entry del Ghana. Nel 2015 saremo al centro del mondo, ci visiteranno cento tra premier e capi di Stato. Ma il nostro non sarà un Expo muscolare, saremo una piattaforma dove Stati, Istituzioni internazionali, volontariato, società civile, presenteranno il loro modo di pensare e realizzare un nuovo e diverso modo di sviluppo. Quello attuale non è più sostenibile”. E gli svizzeri, primo Paese a aderire a Expo, hanno già presentato il progetto del loro spazio. Monteranno tanti silos trasparenti. Dentro materie prime: grano, riso, mais. Chiunque potrà portarne via un pugno o un sacco. Ma loro non li riempiranno di nuovo, una volta svuotati.
Era stata invece Ertharin Cousin direttore esecutivo del World Food Programme a sottolineare l’importanza del rapporto tra società civile e istituzioni: “Ogni hanno portiamo cibo a 700 milioni di persone in settanta Paesi. Lo facciamo grazie ai quattro milioni di dollari che le persone donano per chi ha fame. Negli Sati Uniti ho diretto in passato il Banco Alimentare e so che la collaborazione tra terzo settore e istituzioni ci consente di essere molto più efficaci”.
Queste sono esperienze utili e positive. Lo ha spiegato José Graziano de Silva, direttore Fao e promotore del progetto brasiliano “Fame Zero”: “Quando il Presidente Lula decise di dare tre pasti al giorno a ogni brasiliano indigente ci scontrammo con un problema. Avevamo il cibo, ma non trovavamo chi aveva fame. Chi muore di fame non ha un indirizzo, un conto in banca, una carta d’identità. È assolutamente invisibile. La povertà lo priva addirittura della sua identità. Non ha voce, non ha rappresentanti. Così organizzammo un tavolo con la società civile: chiese, volontari, sindacati. Così riuscimmo a trovare i poveri. Gli ultimi, quelli che hanno più voce neanche per protestare. In questo modo siamo riusciti a fare partire il programma e offrigli la possibilità di nutrirsi.”.
Le conclusioni sono state di Alberto Piatti: “Un incontro come quello di oggi dimostra che anche chi vive nell’Istituzioni ha ideali, li vive concretamente e si batte per la tutela e il rispetto della dignità dell’uomo. E che tutti noi insieme possiamo fare qualcosa d’importante. Perché dietro la fame c’è l’uomo e il suo bisogno d’amore. Lo ripeto ancora una volta, qui tra la gente-gente”.
(C.B.)
Rimini, 24 agosto 2012