IL PERDONO ATTRAVERSO LA PERSECUZIONE NELLE VITTIME DELLO SRI LANKA
Rimini, 22 agosto – Il martirio è davvero un concetto lontano per un cattolico del Ventunesimo secolo? Il 21 aprile 2019, in occasione della Pasqua cristiana, nello Sri Lanka gruppi di estremisti hanno colpito tre chiese e quattro alberghi. In particolare, l’attacco terroristico ha procurato quasi 300 vittime tra la chiesa di San Sebastiano a Negombo e il Santuario di Sant’Antonio a Kotahena, che è una zona periferica della capitale Colombo. Le due chiese sono entrambe punti nevralgici per i cattolici dello Sri Lanka e il santuario di Sant’Antonio è un importante luogo di culto per la popolazione, tanto che anche gli indù, dopo essere stati al tempio, si recano a venerare il Santo. All’interno del reportage prodotto da Rome reports e Stand Together è emerso come gli attentati siano percepiti dalla popolazione dello Sri Lanka come nuova modalità di martirio.
Ciò che è certo è che dopo l’esplosione i fedeli si sono moltiplicati, la fede dei cristiani si è rafforzata e il numero delle vocazioni è cresciuto in modo esponenziale. La popolazione ha assistito al dramma con uno sguardo inequivocabilmente diverso: pieni di richieste di giustizia, ma pieni di desiderio di perdono poiché «noi perdoniamo ed è in questo modo che siamo cristiani», come ha affermato uno dei tanti preti che ha assistito alle stragi.
Nonostante la natura misericordiosa del popolo dello Sri Lanka, è pur vero che gli attacchi terroristici restano e sono indici di una vera e propria persecuzione. Ad oggi, si sente dire nel reportage proiettato all’incontro “Sri Lanka, più forti delle bombe”, sono 38 i paesi in cui è in atto la persecuzione dei cristiani ed è oltre il 60 per cento della popolazione mondiale che vive in paesi in cui non è rispettata la libertà religiosa. Ciò significa che esistono circa quattro miliardi di persone a cui non è concesso di poter vivere apertamente la propria fede.
(A.F.)
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