Si ritorna sulla domanda fondamentale sulla natura dell’uomo: cos’è l’io? Perché possiamo vederne le sue parti, ma non capiamo come queste stiano insieme? Due giorni fa i filosofi Costantino Esposito ed Eugenio Mazzarella avevano affrontato il tema della natura umana dal punto di vista filosofico, oggi Michele Di Francesco, preside della Facoltà di filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele, e Giancarlo Cesana, docente di igiene all’Università di Milano-Bicocca, affrontano il problema dal punto di vista medico-scientifico. Modera l’incontro (ore 11.15, salone B7) Andrea Moro, docente di linguistica generale alla Iuss di Pavia.
“Quando parliamo di io – introduce Moro – non possiamo pensare ad un concetto unitario ed inscindibile. Quando diciamo che una cosa è misteriosa perché si presenta come fatto unitario, come nel caso del mistero dell’unità dell’io, significa che sappiamo riconoscere gli elementi della quale è composta, ma non sappiamo giustificare il modo con cui questi elementi sono tenuti insieme. L’io può essere suddiviso in varie parti, fra cui l’affettività, la relazionalità, la cognitività, il ragionamento pratico. Tutti coloro che sono in questa sala sono portatori di tanti io, di tante parti di esso; ciò costituisce in effetti una sfida alla scienza, per la quale il requisito fondamentale è la ripetibilità dei risultati”.
Esordisce Di Francesco, per la prima volta al Meeting (si dice grato ed “emozionato dall’atmosfera di genuina ricerca della comprensione dei problemi”). Il professore ripercorre brevemente l’evoluzione da Cartesio, che identificava l’io come una cosa che pensa, fino al contemporaneo Daniel Dennett, che dice “più andiamo avanti, più diventa difficile trovare lo spettatore del teatro cartesiano”. L’aspetto essenziale dei moderni risultati è un “ridimensionamento del ruolo della coscienza, che risulta essere solo la punta dell’iceberg della nostra mente” sotto la quale brulicano numerosi processi sub-coscienti fondamentali nel nostro comportamento. Nelle concezioni contemporanee sembra che “i circuiti del nostro cervello collaborino per costruire un comandante virtuale, l’io, un centro di gravità narrativo”. Ma il comandante è virtuale, appunto, cioè non è reale.
Il recente sviluppo delle neuroscienze ha potentemente rivoluzionato l’esplorazione della mente umana dal punto di vista scientifico: l’avvento delle tecniche di functional magnetic resonance imaging (fMRI), che permettono di visualizzare in tempo reale l’attività celebrale di soggetti coscienti e operanti, è paragonata ad una “rivoluzione galileiana, un nuovo metodo per esplorare la mente”, i cui effetti e la cui portata saranno compresi solo in futuro. “Possono queste nuove tecnologie rendere evidente l’io? Finora non è stato osservato”, è la risposta di Di Francesco, anzi sembra addirittura che i risultati scientifici mettano in dubbio l’esistenza del libero arbitrio. Bisogna quindi fare i conti con questi risultati scientifici. Come affrontare questa sfida? “Al momento attuale non c’è necessità di concludere l’inesistenza dell’io dalla scoperta del ridimensionato ruolo della coscienza. C’è bisogno di molta buona scienza e buona filosofia per interpretare questi risultati e per non impoverire il concetto di io”.
Vasto e articolato è stato l’intervento di Giancarlo Cesana. “Con lo sviluppo della tecnica del brain imaging si può osservare quali aree cerebrali sono implicate nello svolgimento di azioni, processi di pensiero, aspetti linguistici. L’esistenza di una mappa delle capacità mentali non ci permette di dimostrare l’esistenza dell’io: infatti nessuno è ancora riuscito a localizzare la coscienza. Lo sviluppo delle tecniche di risonanza magnetica offre un importante contributo rispetto alla localizzazione di alcune attività coscienti, ma non della coscienza in sé: è come se noi cercassimo di collocare nella mappa cerebrale l’anima di un individuo.”
“L’io – prosegue Cesana – si struttura nell’individuo attraverso le esperienze e il trascorrere della vita. Trovo significativa una frase di don Giussani: “La libertà è sinonimo di amore e di affezione, è identificata come possibilità incondizionata a scegliere; l’io non è quindi fine a se stesso, ma si costituisce anche grazie al legame con gli altri individui, all’interazione con l’ambiente, all’evoluzione, al cambiamento: non siamo vivi solo perché respiriamo aria, lo siamo soprattutto perché non siamo soli, perché riceviamo un’educazione che ci viene trasmessa da altri”. Il senso di realtà è dunque importantissimo per la coesione dell’io: pensiamo ad esempio, ai casi di autismo o di schizofrenia, dove la percezione del mondo è particolarmente compromessa od è addirittura inesistente”. Cesana conclude il suo intervento con una riflessione tratta da un’altra frase di don Giussani: “Il concetto di io, nella tradizione biblica, ha inizio con Abramo: in lui si manifesta la prima immagine di Dio, quando egli inizia a seguire il proprio destino. L’io è rapporto, la vita è rapporto, tensione di ricerca sui significati dell’esistenza”.
(F.P., M.F.)
Rimini, 21 agosto 2012