Alle ore 12.30, nello Spazio “What? Macchine che imparano?” Piazza A5/C5, Giampiero Lotito, fondatore e CEO di FacilityLive, e Andrea Moro, professore di linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria ad Ordinamento Speciale IUSS di Pavia, si sono confrontati su quali siano, in questa epoca di profondi mutamenti, le questioni aperte sull’intelligenza e sul linguaggio. Davide Rondoni, poeta e scrittore, ha moderato l’incontro.
Il professor Moro ha condotto l’uditorio a riflettere su alcuni aspetti della linguistica solitamente poco noti. «Le regole delle lingue non sono completamente libere, esistono dei limiti nella variabilità linguistica, tant’è vero che, quando un bambino commette un errore, esiste sempre un’altra lingua in cui quell’errore è considerato la norma». Queste regole, tuttavia, sono spesso implicite: «Quando pronunciamo una frase, quando coniughiamo una semplice forma grammaticale, non ci rendiamo conto di quante prassi stiamo applicando implicitamente». La comunicazione verbale e le sue regole sono, quindi, qualcosa di insito nell’uomo o sono solo il frutto di una convenzione? «La verità», ha affermato Moro, «è che probabilmente il linguaggio costituisce un mistero ultimamente imperscrutabile, che tuttavia deve essere oggetto di ricerca: solo approfondendo la nostra conoscenza di ciò che costituisce un linguaggio, ad esempio, potremo trovare un modo veramente efficace di interfacciarsi con le macchine». Gli scenari che si possono aprire in tal senso sono molti, alcuni dei quali anche fantascientifici: in futuro le macchine potranno pensare e parlare? Quale sia l’opinione di Moro traspare in modo evidente dalla battuta, rubata al genio dell’informatica Alan Turing, con cui chiude il suo intervento: «Tra qualche anno il verbo “pensare” sarà così maltrattato che anche le macchine penseranno».
Nel suo intervento, Lotito ha esordito definendo lo stato attuale della ricerca in ambito tecnologico «non come l’inizio del futuro, ma come la fine del passato: tutte le innovazioni e il progresso sono frutto unicamente di una potenza di calcolo sempre maggiore ma che non potrà aumentare per sempre ed è perciò senza prospettiva. Occorre», ha continuato il CEO, «reinventare il concetto di linguaggio in informatica, rendendolo più intelligente, ovvero più simile a quello con cui l’uomo comunica con il mondo: anziché costruire un’architettura che interpreti attraverso un linguaggio che definiamo noi, il linguaggio deve essere insito nell’architettura». In questa rivoluzione, che deve essere «culturale, prima che tecnologica», a giudizio del relatore, «bisogna tener conto che il ragionamento umano non è solo quello statistico tanto utilizzato dal “machine learning”, che tanto va di moda, ma è anche quello semantico, che implicitamente astrae, con un processo di sintesi, il significato delle cose». Grande sarà il ruolo che gli umanisti possono giocare in tal senso, in un mondo che ha visto finora gli scienziati e gli ingegneri come unici e indiscussi protagonisti: «Far interagire tecnologie e linguaggio», ha concluso Lotito.