Rimini, 23 agosto 2017 – «Negli anni di servizio diplomatico ho visto come si può lavorare assieme, per i diritti umani, negoziando situazioni difficili per evitare conflitti sanguinosi e creando le premesse per uno sviluppo equo nei paesi più poveri. Su questi temi ci si può trovare assieme e convergere, anche su progetti operativi molto efficaci. Ma poi si arriva a un punto dove il cammino si interrompe». Sono le parole con cui S. Ecc. Mons. Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico e membro del Dicastero Servizio per lo Sviluppo Umano Integrale, è intervenuto nel corso dell’incontro dal titolo “Al di là dei muri”, che si è svolto alle ore 17:00 presso l’Auditorium Intesa Sanpaolo B3.
«È il momento in cui si mette sul tavolo la possibilità di un discorso religioso», ha spiegato il prelato. «Allora ci si chiede: questo muro psicologico è un falso pudore che blocca il coraggio di affrontare le intuizioni più profonde della persona? È una cattiva volontà di non affrontare i valori ultimi che diano significato alla nostra vita? E infine: questo muro è valicabile?».
All’intervento di mons. Tomasi si è unito quello di Paolo Magri, vice presidente esecutivo e direttore di ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), che ha dapprima parlato del muro che il presidente Trump vorrebbe costruire al confine il Messico, «non solo una barriera fisica tra due paesi partner», ma «il cardine di una strategia e di un messaggio politico». Difatti, ha spiegato Magri, «ci sono anche muri intangibili, come quello interno alla società americana, quelli ricostruiti con l’Iran o anche con Cuba, o quelli annunciati del commercio internazionale». Ma «ci sono molte resistenze e dubbi negli Stati Uniti sulla sua utilità, sulle sue conseguenze politiche – fra poco si voterà in Messico – e sui costi». Magri ha poi spiegato che teme anche «il muro che stiamo costruendo verso l’islam dopo la caduta delle Torri Gemelle. L’attenzione che fa il Papa a utilizzare le parole come “islam” e “terrorismo” è più che significativa». Concludendo: «Io non sono ottimista nella nostra capacità di gestire i conflitti di breve periodo, ma ho speranze sul tema dello sviluppo, il cui dibattito, per motivi utilitaristici, è entrato nelle stanze importanti dei governi».
Al dibattito, scandito da immagini, video, musiche e readings, hanno partecipato diversi relatori. Il demografo Alessandro Rosina ha aggiunto che «dobbiamo avere un’attenzione particolare ad abbattere i muri che non consentono alle giovani generazioni di raggiungere gli obiettivi desiderati». Giampaolo Silvestri, segretario generale fondazione AVSI, ha commentato dicendo che «la questione dello sviluppo non ha senso se non tocca personalmente chi lo promuove, e il cambiamento della persona». Anche se «è evidente che non ce la possiamo fare da soli: devono nascere collaborazioni, la possibilità di lavorare insieme partendo da un desiderio e dalle persone».
Alejandro Marius, presidente dell’Asociación Civil Trabajo y Persona, giovane venezuelano, ha raccontato che il suo muro è «la paura, quella per i suoi figli, a volte di non poter trovare loro le medicine, o il non avere la libertà di dire quello che si pensa veramente. Caracas è la città più pericolosa al mondo, l’anno scorso ha avuto 28mila morti, negli ultimi cinque anni 150mila morti e omicidi, più di 8 anni di guerra di Iraq». Rosemary Nyirumbe, missionaria in Uganda, ha infine affermato: «Vedo nel muro qualcosa di difficile da sormontare. Da dove vengo viviamo in capanne rotonde e non c’è necessità di proteggersi, gli altri li vogliamo». Ma «la gente muore in Africa. Abbiamo visto grandi nazioni crollare. E nessuno può costruire un muro, se non Dio».
(F.Gn.)