«Ciò che noi esattamente vogliamo è non schierarci di qua o di là, ma manifestare un’originalità che ci contraddistingue. Questa è la prima contestazione umana e politica». È la dichiarazione dell’arcivescovo di Taranto S. Ecc. Mons. Filippo Santoro, presidente del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, al termine dell’incontro “Giovani, lavoro e dignità della persona umana”, che si è svolto alle ore 11:15 nel Salone Intesa Sanpaolo B3 della Fiera di Rimini.
«È necessario mettere insieme i vari soggetti del mondo cattolico non per farne un nuovo partito, ma un elemento profetico in tutta la nostra società, che contesta, propone e fa andare avanti. Con un’origine recuperata nella nostra esperienza e rivissuta nell’oggi, come guida dei movimenti e del nostro presente», ha aggiunto l’arcivescovo. Che si è poi soffermato sul fatto che i «sindacati devono avere originalità rispetto ai partiti: un’altra origine, un punto di partenza, che è nella centralità del lavoro e nella sua qualità». Il prelato ha preso spunto da un suo invito rivolto alla Cisl «a riprendere in mano la propria natura, con le parrocchie, con i movimenti e le associazioni che curano e amano la persona», perché «questa si declini nel lavoro quotidiano, che, come diceva don Giussani, è il cuore di ogni gesto e della prospettiva del Vangelo e della Dottrina sociale della Chiesa».
Nel suo intervento Mauro Magatti, professore ordinario di sociologia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e segretario del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, ha spiegato che «l’Italia può essere raccontata in tre generazioni: prima dell’attuale, quella che partiva da un paese distrutto ma che ha prodotto molta ricchezza, e quella dei baby boomer, in cui si affermava la società dei consumi ma che ha prodotto poco valore. Con la crisi ci siamo accorti che quest’ultima era un’eredità problematica». L’analisi porta il relatore a sostenere che «l’Italia deve ripensare il lavoro in prospettiva storica, evitando il conflitto tra le generazioni e costruendo una nuova alleanza, con investimenti produttivi che scommettano sulle persone, piuttosto che vivere a debito». Mettere al centro il lavoro, ha continuato Magatti, «significa unire lo sviluppo della persona con quello della comunità. Ma servono leggi, e fisco, che ne riconoscano la centralità. Il lavoro non è tutto uguale, c’è buono e cattivo, che genera ricchezza o no, e la sua quantità sta in relazione con la qualità».
Per padre Francesco Occhetta, giornalista e scrittore della rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, oggi «le aziende mancano della relazione spirituale, del fatto che l’altro è sempre un punto di arrivo e mai l’uso e l’abuso dei miei interessi». Il gesuita ha elencato otto grandi mali che condizionano la nostra cultura: «investimenti senza progettualità, finanza senza responsabilità, tenori di vita senza sobrietà, tecnica senza coscienza, politica senza società, rendite senza redistribuzione, crescita senza occupazione, risultati senza sacrificio». E ha ricordato che «la nostra tradizione non è statalista: l’uomo diventa persona nella società, nella famiglia, in movimenti come il vostro, dove ci conosciamo, ci sopportiamo e costruiamo insieme il futuro. Sono le comunità l’antidoto alle spinte populistiche».