Rimini, mercoledì 22 agosto – Aperitivo musical letterario, dedicato alla canzone di protesta del ’68, alle 19 di oggi presso l’Arena della Storia A5, con Pietro Toffoletto, insegnante e musicista. Molti i brani storici eseguiti in live concert da una formazione di musicisti milanesi, in ensemble per questa occasione.
“We can be toghether” dei Jefferson Airplane per iniziare, accompagnata sullo schermo da immagini dei “figli dei fiori” e del più importante raduno dell’epoca, Woodstock, e poi il manifesto realizzato da anarchici americani con il testo della canzone: ”siamo sporchi, violenti… e giovani… Dobbiamo cominciare, qui ed ora, un nuovo continente di terra e di fuoco… ”. “Era Il tentativo – spiega Toffoletto – di descriversi come i rifiuti della società. Vogliamo cercare di scoprire come la musica abbia forgiato l’identità dei giovani di quegli anni”.
“In questa civiltà non c’è più posto per i guerrieri di strada” cantavano gli Stones; e i Beatles, in “Re-volution”, affermavano: “Faresti bene a liberare la mente”.
Tre i punti focali individuati da Toffoletto: il tentativo di voler cambiare la società, il rock and roll co-me modo di fare rivoluzione, la liberazione affidata anche al consumo di droghe o alla fuga nelle filosofie orientali. Nasceva la categoria dei “giovani”, quelli che dicevano a Nixon: “Siamo disposti a morire per ciò in cui crediamo”. Essere giovani diventò un problema culturale, sociale e politico. I modelli erano quelli del naturismo hippie, della ricerca di un cambiamento nel rapporto con la natura e con gli altri, a partire dall’antesignano Eden Ahbez, autore di quella che si può definire la prima canzone hippy, “Nature boy” del 1947, cantata da Nat King Cole: “La cosa più importante che puoi imparare nella tua vita è amare ed essere amato”.
Altro punto fermo fu l’affermarsi del beat, il “battito” nato in maniera assonante dalle suggestioni della “Beat generation”. Era la generazione di coloro che volevano sentirsi fuori dalla società dei consumi, si disse, “ma Jack Kerouac – sottolinea Toffoletto – afferma che “beat” è la prima parte della parola “beatitudine”. “Che cosa sto cercando – scriveva Kerouac nei suoi diari – se non che Dio mi mostri il suo volto… voglio qualcosa che resti per l’eternità… una visione seria, finale e immutabile dell’universo… dove ci siano tutti i desideri che non ci sono sulla terra”.
Woodstock è il culmine di questa voglia di cambiamento C’è la coscienza di quello che non si voleva essere, ma cosa “si voleva” diventare? C’è il senso di uno stravolgimento, di una riduzione, di una perdita di vista della realtà, ben cantata da Giorgio Gaber in “Chiedo scusa se parlo di Maria”, e in “Mi fa male il mondo”. Gli era stata commissionata una canzone dalla Sinistra, per ricordare il golpe in Cile, e lui rispose con questa canzone. E il suo paroliere, Luporini, scriveva “il vero motivo perché cambino le cose sei tu”.
“i giovani diventano adulti”: è il titolo d un’altra sezione del Meeting dedicata al ’68, e in quell’anno Stefano Rosso, in “Libertà”, cantava di una parola che pareva non avere più significato: “Libertà tutta curva, e stanca, quando passi non ti riconosco, più”. Il senso delle parole sembra smarrito come il senso dell’esperienza vissuta. “Così come – aggiunge ancora Toffoletto – nella lettera di un militante d Lotta Continua, suicida a 22 anni, che scriveva di un realtà troppo grande, troppo diversa dalla sue attese”. “Si assiste – denunciava Gaber – alla perdita della libertà più importante, la libertà stessa del cambiamento, la perdita di te stesso, non sai più chi sei”. Una risposta venne da un brano di Chico Buarque, cantato in italiano da Enzo Jannacci: “Pedro Pedrito”, che vive aspettando, sperando in “qualcosa più bello del mondo, più grande del mare”, come scriveva Kerouac “amare ed essere amato”, ma un’attesa che si fa anche concreta nella realtà: aspettando “il tram, il figlio, la fine del mese” , e non poterne più, ma non potere che tornare ad aspettare e sperare…