Nello spazio Arena “Ognuno al suo lavoro” B1, l’affermato duo vocale e musicale formato da Walter Muto alla chitarra e Carlo Pastori alla fisarmonica, accompagnati alla batteria da Ermens Angelon, ha commosso e trascinato il pubblico, con una serie di grandi brani musicali: dal blues ai più celebri cantautori italiani, che vedono al centro le mille relazioni, le tante diverse declinazioni con cui si può cantare il lavoro. Come due cantastorie moderni, Muto e Pastori hanno cantato il tema del lavoro come sofferenza o come passione, ma sempre al centro di un universo di trame affettive e familiari di uomini e donne.
Parole e suoni che appartengono alla tradizione popolare, come il celebre canto romagnolo degli “Scariolanti” o i canti del “Laghée” dei pescatori di frodo delle valli comasche, riscoperti da Davide Van Des Sfroos. Oppure appartengono alla storia più recente della canzone italiana, sempre capaci però di trascinare e commuovere il pubblico, come “Casa mia” dell’Equipe 84, “Vincenzina e la fabbrica” di Jannacci («grande amico del Meeting», ricorda Pastori), “Una miniera” dei New Trolls, ”La raccolta” di Angelo Branduardi. Canzoni nelle quali si affaccia talora l’illusione di aver cercato nel lavoro qualcosa che salvasse da una vita sentita come privata di senso (“Un giorno credi” di Edoardo Bennato). Ma per Niccolò Fabi, nelle storie parallele di un raccoglitore di pomodori e di un pescatore, «vale la pena rattoppare la rete ogni giorno, costruendo i nostri sogni per poi servirli a cena».
Conclusione corale sulle note de “Il popolo canta la sua liberazione” di Claudio Chieffo: «Porta la calce, porta i mattoni il muratore … Cammina l’uomo quando sa bene dove andare».