Rimini, mercoledì 22 agosto 2018 – Il pubblico del Teatro Ermete Novelli esce silenzioso ed emozio-nato al termine dello spettacolo “L’ultima partita”, di e con Mario Mascitelli, realizzato grazie al sup-porto di Johnson 1836: una storia di fatica, di successi e di sofferenza che viene rievocata attraverso le parole ed i gesti dell’attore.
È nella povertà newyorchese di inizio Novecento che nasce il sogno di Lou Gehrig: un desiderio forte di poter arrivare ai più alti livelli del baseball americano e mondiale. È bravo in questo sport, ma gli studi e un lavoro sicuro farebbero certamente più felice la mamma, verso cui il ragazzo ha un forte legame affettivo. La decisione di lasciare gli studi alla Columbia non è facile, ma la prospettiva di un contratto e di poter contribuire economicamente alla vita della famiglia sono elementi forti che lo portano a scegliere questa via.
Sul palco scorrono le immagini di un’America che trova nel baseball un aggregante fortissimo. Il suc-cesso e i primati non tardano ad arrivare: migliaia di spettatori applaudono le sue imprese e i suoi record di fuoricampo. Anche la vita privata trova la giusta via con il matrimonio e la felicità.
Ormai Lou si avvicina alle duemila partite giocate, ma il destino ha in serbo per lui la sfida più grande. I primi segnali di stanchezza vengono spiegati come malesseri passeggeri. Poi arrivano i giorni bui: la forza viene meno, la palla da baseball non è più lanciata oltre il campo, ma cade inesorabilmente a pochi metri da lui. Inizia il dramma umano di un uomo felice che non vuole, e forse non può, ammettere a se stesso che tutto sia finito.
La malattia degenerativa, che si chiamerà appunto morbo di Gehrig e successivamente SLA, non la-scia scampo e i medici gli pronosticano una fine lenta, come una candela che man mano è destinata a spegnersi. Il giovane scende ancora in campo per motivare i suoi New York Yankees, il gioco vero ormai è per le nuove leve, lui resta a bordo stadio. Poi l’annuncio ufficiale del ritiro, con il pubblico che gli tributa dieci minuti di applausi perché nessuno vuole che finisca tutto così. Invece nel 1941, a soli 38 anni, Lou Gehrig, l’uomo dalle 2130 presenze consecutive in campo, muore.
Il ricordo di questo uomo “il più fortunato del mondo”, come amava definirsi, arriva oggi fino a noi, regalandoci una provocazione capace di cambiare il modo e con cui affrontare le piccole e grandi sfi-de della nostra quotidianità.