L’ITALIA PRODUCE TALENTI: UN CAFFÈ CON STAITI E PIFFER

Press Meeting

Chi sono i cervelli in fuga dall’Italia? È questa la domanda che Sara Tarantini, studentessa di Giurisprudenza all’Università di Milano, rivolge ad Andrea Staiti (Assistant Professor of Philosophy at the Boston College) e Tommaso Piffer (ricercatore all’Università di Milano e alla Harvard Univerisity). E, precisando di avere intervistato una trentina di questi ‘cervelli’ durante il suo lavoro di preparazione della mostra “L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita”, invita i relatori a parlare del problema in termini di esperienza personale.
Piffer entra subito nel vivo: “Il talento è la disponibilità a seguire ciò che accade, ossia le proprie capacità come le occasioni che si presentano. Le idee che balenano in testa hanno lo stesso statuto delle capacità: sono cose donate”. Passa poi a raccontare della propria esperienza personale, caratterizzata da profondi mutamenti di rotta: studente di Giurisprudenza con la passione parallela per la storia, sceglie di dar credito alla passione della storia per una fedeltà alla realtà, indotta dal commento di un amico che osserva la sua libreria e gli fa notare che era piena di libri di storia, mentre quelli di diritto occupavano un modesto angolino. Da qui il dottorato in storia e la formulazione di progetti di ricerca da proporre ad Harvard e in Inghilterra, poi realizzatisi col sostegno dell’università italiana e della comunità europea.
Anche Staiti testimonia una vicenda piena di eventi: dalla passione liceale per la matematica alla fenomenologia come “tentativo costante di dare chiarezza alle cose”. Quindi l’imbattersi col filosofo austro-tedesco Husserl, il dottorato in Germania e il “sì” alla proposta del direttore dell’archivio Husserl “posso prenderti ma devi imparare il tedesco”. Inaspettata anche l’occasione che, tre anni fa, lo ha portato a Boston: un incontro occasionale in Germania. Allargando la conversazione a temi più generali, per Piffer la responsabilità degli esodi accademici è sicuramente “del sistema Italia, che non mette in condizioni di fare la propria strada”, ma si può andare all’estero “vergognandosi di essere italiani, ignorando un debito evidente” oppure “riconoscendo la ricchezza che si è ricevuta”. A proposito della meritocrazia, Staiti incalza polemicamente: “La strategia meritocratica d’oltreoceano è spesso un’invenzione dei giornali italiani tesa a giustificare alcune scelte locali” mentre conia la parola “meritofilia, cioè una simpatia per chi fa bene” precisando che questa simpatia può aversi solo in un ambiente istituzionale dotato di realismo e di libertà, che negli Usa sono categorie diffuse ed efficaci, a partire dal reclutamento.
Non c’è nulla da salvare allora nel nostro sistema, che finisce puntualmente in fondo alle classifiche? Sorprendenti le risposte dei ‘cervelli’: Piffer avverte che in Italia, a differenza che negli Usa, il soggetto viene formato non solo dall’università, ma da tutto ciò che lo circonda, e ciò costituisce una ricchezza certa ma non quantificabile nelle classifiche: “Ad esempio il Meeting, enorme realtà educativa, non a caso è qui e non altrove” e Staiti afferma che “la più grande risorsa dell’università italiana è la realtà studentesca, con la sua capacità di auto-organizzarsi” Si riferisce all’accoglienza, alla soluzione dei problemi abitativi, all’aiuto allo studio: “In Italia ciò che ha più valore in università sono gli studenti, capaci di creare valore aggiunto”
(Ant.C.)
Rimini, 21 agosto 2012

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