“I numeri raccontano la realtà e ci dicono che l’Italia è un bene per la Cina”. È il dato posto al centro della tavola rotonda che si è svolta alle 11.15 in Sala Neri CONAI tra Francesco Boggio Ferraris, direttore della Scuola Formazione Permanente della Fondazione Italia Cina, Ettore Francesco Sequi, da un anno ambasciatore d’Italia a Pechino e Roberto Snaidero, presidente FederlegnoArredo e promotore dell’evento. Adriano Moraglio, giornalista de Il Sole 24 Ore ha introdotto e moderato l’incontro.
“Se noi siamo diventati un bene per la Cina, la Cina è un bene per noi?” È la domanda sulla quale Moraglio fa intervenire i relatori. Per Boggio Ferraris l’Italia non si può permettere il lusso di ignorare un paese che con grande determinazione ha saputo incrementare il livello economico fino a diventare la seconda potenza economica mondiale. “L’Italia ha contribuito a questo colosso: il 50% dell’export italiano in macchine utensili è stato proprio in direzione della Cina”. Oggi c’è la possibilità di ampliare al made in Italy, sapendo che per il 2022 il governo cinese ha in progetto di sviluppare un agglomerato urbano che raccolga circa 22 milioni di abitanti, risolvendo il grosso problema della concentrazione urbana. “Per cogliere le opportunità, c’è bisogno di un percorso di avvicinamento: imparare a conoscere la loro Cultura (con la c maiuscola, ha tenuto a precisare Boggio Ferraris) che ha i suoi fondamenti nell’armonia, nella benevolenza, nella resilienza e nella consapevolezza delle proprie origini, che vanno ben oltre gli ultimi cento anni di storia”.
Per Sequi l’esperienza dei rapporti con la Cina è descrivibile in termini di vitalità: “Lo dicono proprio i numeri del forte tasso di sviluppo del reddito nazionale, di deposito dei brevetti, delle pubblicazioni scientifiche, degli internauti. La popolazione di età compresa tra 0-25 anni raggiunge i 420 milioni”. I cinesi ritengono gli italiani unici detentori di una tradizione più o meno al loro livello e guardano con molta attenzione a quello che sta succedendo nel nostro paese. “C’è lo spazio per impostare progetti culturali; basta pensare che la tendenza è verso lo sviluppo intelligente con piani come manifattura 4.0 – continua Sequi – intercettare queste possibilità permetterebbe di modernizzare meglio il nostro Paese”.
Per Snaidero la Cina rappresenta un bene perché cerca la qualità del prodotto che proprio l’italian style può offrire. “È un’economia giovane è c’è molto di culturale da considerare, l’idea di lavoro innanzitutto. Ma i cinesi sono sinceri e leali. Inoltre hanno la consapevolezza che la nostra manifattura deriva dalle mani di Michelangelo e Leonardo”. A seguito dei rapporti stabiliti in Expo Milano è nata la possibilità del primo Salone del Mobile di Shanghai dove l’italian style sarà presente per i settori dell’arredo, dell’agroalimentare e della moda.
Quali modelli per il percorso di avvicinamento alla cultura cinese? Per Sequi Matteo Ricci, a cui i cinesi devono anche la traslitterazione degli ideogrammi all’alfabeto latino, ma anche (per Boggio Ferraris) Giuseppe Castiglioni, missionario gesuita e pittore italiano vissuto nel Settecento alla corte degli imperatori.
Due personalità che non hanno avuto timore di incontrare culture e popolazioni completamente nuove e sconosciute, convinte, come ha detto Moraglio, che “il rapporto con l’altro stimola a diventare migliori”.