Il tema della crescita imprenditoriale è stato al centro del dibattito tenutosi oggi in sala D2 presso il Meeting di Rimini, coordinato da Giuseppe Ranalli, Presidente del Gruppo Tecnomatic.
Primo a intervenire è stato Pierfrancesco Guarguaglini, Presidente di Finmeccanica. La crescita di un’azienda, secondo il suo giudizio, deve essere valutata non solo dal punto di vista dimensionale, ma anche per quanto riguarda competenze e tecnologia. L’industriale ha poi individuato nella capacità di pianificazione strategica, nel consolidamento dello sviluppo e nella capacità di affrontare il mercato le tre linee guida per una crescita duratura; in quest’ottica i paesi in via di sviluppo sono visti non come minaccia ma come nuovi potenziali mercati di prodotti ad alta tecnologia.
È stato poi il turno di Pierluigi Zappacosta, co-fondatore di Logitech. Nato in Italia, trasferitosi negli Stati Uniti per fondare un colosso dell’industria tecnologica, ha da poco fatto ritorno in Italia per aprire una società di private equity. Dopo qualche esperienza nel panorama abruzzese, è rimasto sconvolto dalla mancanza di libertà di impresa e da come la burocrazia sia un ostacolo all’imprenditorialità: “In Italia solo ciò che è autorizzato è legale, in America solo ciò che è vietato è illegale”. Esiste inoltre, secondo l’imprenditore, un problema culturale diffuso in tutta Europa: si pone l’accento più sulla redistribuzione della ricchezza che sulla sua creazione.
Alberto Tacchella, Presidente di UCIMU, ha sostenuto che “fare business significa fare del bene per se stessi e per la realtà”: la crescita non è quindi un fenomeno relativo solo a un’azienda; al contrario, è veramente grande solo un’azienda che fa crescere anche le altre imprese con cui lavora. Crescere, ha concluso, vuol dire assicurare la continuità della vita dell’impresa.
Nel suo intervento, Massimo Capuano, Amministratore delegato della Borsa Italiana, ha individuato alcune criticità legate al tema della quotazione delle aziende italiane: da un lato le nostre imprese fanno un uso eccessivo del debito senza una adeguata capitalizzazione; dall’altro sono comunque pochissime, rispetto al resto del mondo, le imprese che fanno ricorso al mercato azionario. Questo genera un circolo vizioso: gli italiani, poco avvezzi al rischio, affidano i propri risparmi a fondi di investimento; questi, essendo il mercato italiano dimensionalmente ridotto, sono costretti a investire all’estero; si finisce con il finanziare di fatto i concorrenti delle nostre imprese. elemento di speranza per la rottura di questo circolo vizioso potrebbe essere, sempre secondo Captano, il cambiamento di mentalità che egli riscontra nei giovani imprenditori, più orientati alla quotazione sul mercato azionario delle proprie imprese, rispetto a quelli della generazione precedente.