L’impensabile possibile: quando con lo sport si diventa grandi

Press Meeting

Nel gremitissimo salone D3 l’impensabile diventa possibile nel corso dell’incontro in cui si racconta “quando con lo sport si diventa grandi”, attraverso testimonianze di allenatori ed educatori. Le periferie, ha ricordato nella sua introduzione Davide Perillo, direttore del mensile Tracce, non sono soltanto luoghi ma soprattutto persone, che hanno bisogno di sentirsi aiutate a crescere, a diventare grandi, a divenire tutto quello che si può essere. Un cammino per permettere di scoprire la personalità, di approfondire l’umano. “Siamo costitutivamente bisognosi”, ha proseguito il giornalista, “nelle periferie dell’umano lo sport può avere un ruolo molto importante e utile”.
Tre quindi gli ospiti della serata. Il primo è Massimiliano Ruggero, manager e allenatore, ex giocatore di rugby in serie A ed allenatore delle nazionali giovanili, animatore di un importante progetto nel trevigiano. CI sono poi coach Marco Calamai, allenatore professionista di basket che ha giocato e allenato in serie A, guida della nazionale italiana vincitrice dei campionati mondiali militari, che ha lasciato il basket professionistico per intraprendere un percorso con ragazzi disabili, e infine Pedro Samaniego, responsabile della Casa Virgin di Caacupè ad Asuncion nel Paraguay.
Ruggero ha voluto innanzitutto ricordare alcuni valori del rugby, uno sport che è anche uno strumento educativo per i bambini. Il manager ha voluto attuare un progetto insieme al Rugby Tarvisium, squadra di serie A, che collabora per progetti rieducativi con le carceri. “Questo sport – ha sottolineato – accoglie e sa valorizzare le differenze. Qui giocano persone con strutture fisiche diverse e ognuno può sentirsi importante in un gioco collettivo che insegna il valore, il rispetto, il sostegno, la solidarietà. Nel rugby tutti attaccano e difendono, avanzando alla ricerca del terreno. Poi, nel cosiddetto ‘terzo tempo’, si va a mangiare insieme con gli avversari”. Giocare a rugby è come far parte di una comunità, l’espressione di una appartenenza fatta di regole e comportamenti, le cosiddette ‘leggi’ del rugby. “L’esperienza che sto vivendo a Treviso – ha proseguito Ruggero – è investire il mio tempo nel progetto che coinvolge ragazzi cosiddetti difficili per farne una squadra vincente, per trasmettere dei principi a ragazzi più sfortunati di noi”.
Suggestivo anche l’intervento di Marco Calamai, allenatore di basket e docente nella facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Forte della sua decennale esperienza di allenatore di pallacanestro, ha sottolineato la valenza psico-educativa di questo sport con l’ausilio di due filmati. “Quando ho smesso di allenare a livello internazionale, ho deciso di dedicarmi a trasmettere i fondamentali e le regole di questo sport a persone diversamente abili. Spesso coloro che noi definiamo non ‘normodotati’ sono oggetto di bieco razzismo, considerati inadeguati a praticare sport o a mantenere una vita normale e ritenuti inadatti a vivere la vita dell’individuo cosiddetto normale”.
Il primo filmato mostra alcuni ragazzi autistici che vengono messi a contatto con un pallone. Da principio osservano la palla come un oggetto esterno da sé. Poi, quando hanno preso consapevolezza, dopo molti sforzi, della sua utilità, cominciano a utilizzarla e a farla girare. Dopo di che, viene utilizzata come uno strumento sociale: messa sopra o sotto i tavoli, diviene perfino strumento di interazione sociale con altri, con passaggi e piccoli giochi in seguito alla trasmissione di regole da parte dell’allenatore. “Abbiamo organizzato – prosegue Calamai – anche una manifestazione con la squadra americana degli Harlem Globetrotters. Io e alcuni volontari abbiamo insegnato le regole fondamentali a ragazzi autistici, down e con altre sindromi con compromissione neurologica. Notavamo che non solo si divertivano, ma assumevano atteggiamenti adeguati al contesto (temevamo comportamenti di fuga o aggressività, specie da parte di coloro a cui era stato diagnosticato autismo), e in più si sentivano molto gratificati. Interagivano, e ciò costituiva un aspetto molto importante per un miglioramento della loro patologia. Forse non è possibile guarire da autismo o neuropatie, ma sicuramente l’educazione allo sport ha condotto a miglioramenti nelle primitive capacità sociali di questi ragazzi”.
Degna di nota anche la conclusione: “Spesso, allenando squadre cestistiche giovanili, mi sono imbattuto nei problemi dell’adolescenza di molti giovani. Lo sport li aiutava in modo significativo. Tuttavia la vera sfida è stata coinvolgere nel basket soggetti con patologie ben più gravi. Anche loro, come i ‘normali’ adolescenti, hanno tratto giovamento da questo sport, con evidenti progressi nelle loro capacità”.
All’altezza dei precedenti anche l’intervento di Pedro Samaniego, responsabile della casa Virgin di Caacupé ad Asunción, Paraguay: “Nel nostro paese il calcio è lo sport nazionale. Ho iniziato a frequentare ambienti calcistici fin da giovane, da lì è stato possibile carpire l’interesse ed accogliere moltissimi giovani con disagio nella nostra comunità”. Così Pedro e i suoi amici hanno iniziato ad aprirsi a giovani che avevano precedenti penali e che dovevano scontare delle condanne, in linea con il programma stabilito dai giudici nell’arco delle 24 ore. “Il calcio – prosegue il racconto di Pedro – ha reso in primo luogo felici ed affiatati noi operatori. Grazie a questo clima poi ci è quindi stato possibile far sì che i ragazzi fossero coinvolti nelle attività che proponevamo. Così, mentre scontavano la pena, molti di loro si sono riavvicinati ai loro parenti o ai loro figli, proprio grazie allo sport: parlando ai loro cari di ciò che facevano e interessandosi circa i progressi sportivi che i figli facevano durante il periodo della loro detenzione”. Testimonianze quindi perfettamente in linea con il tema del Meeting, provenienti dalle periferie del mondo e dell’esistenza, ma con un messaggio importante per tutti.
(F.P., M.T.)

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