Rimini, mercoledì 22 agosto 2018 – È uno dei dialoghi più attesi di questa edizione del Meeting quello che vede protagonista S. Em. Card. Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano, in dialogo con Luigi Geninazzi, giornalista e scrittore, introdotti da Alberto Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione.
“Fare l’arcivescovo di Milano è domandare alla Madonna la Grazia che il desiderio di vedere il volto di Dio la vinca sull’uggiosa preoccupazione della morte. Questo desiderio che ho nel cuore mi fa guardare al lungo cammino fatto fin qui, e alla realtà che sto vivendo, con precisi atteggiamenti. Il primo, è accogliere un ridimensionamento della mia persona, per riportarla alle sue dimensioni rea-li. Che è entrare un po’ di più in quella humilitas che per il cardinale Borromeo caratterizza la chiesa milanese, e che ci e stata insegnata da don Giussani nel suo valore non moralistico. Ciò – prosegue il cardinale – mi consente di riuscire a guardare al cambiamento d’epoca di cui parla papa Francesco, che sta investendo tutti, appunto come la famosa Chernobyl spirituale di cui parlava don Gius. Eppure mi permette di farlo cantando un inno di gioia e di amore verso la Chiesa, in tutte le sue manifestazioni, in modo particolare per me verso l’appartenenza al carisma di don Giussani”.
Il prelato ricostruisce l’evoluzione della sua esperienza di fede, dall’educazione religiosa in famiglia al papà impegnato nel socialismo massimalista. Ma la “vernice” che in quegli anni sembra coprire il fatto cristiano viene eliminata da un incontro. “Nel triduo pasquale ebbi modo di ascoltare don Giussani sul tema della gioventù come tensione. Era un modo non clericale o moralista di parlare, e mi lasciò dentro una specie di tarlo. Questa esperienza dell’incontro – quell’incontro di cui oggi il Papa parla come cultura – è stata per me decisiva. E mi ha colpito quando ho poi letto un testo breve di Balthasar sulla vocazione come esercizio di attualizzazione del battesimo: potrei ancora oggi andare sotto quell’abete preciso della foresta nera, in cui per la prima ora ho capito che venivo chiamato a servire, dove anzi venivo preso dal servizio”.
In un’esperienza personale di incontro può così ritrovarsi, secondo Scola, “la sostanza del travaglio di epoca che stiamo attraversando. Io non amo parlare di crisi, ma questo discorso ha comunque bisogno del passato, vive del passato. Il travaglio in cui noi siamo immersi punta tutto sul futuro: pensiamo alla donna che patisce i dolori del parto, percepisce dal profondo di sè la tensione dell’attesa, eretta e sorretta da quel novum che è la nascita di suo figlio. Essere mossi dal desiderio che una novità appaia nella vita è come la nascita: l’irruzione dall’alto della gratuità diventa il senso e il motivo della vita, cosa non facciamo e come li amiamo”.
Il cardinale intravede in tale atteggiamento la più efficace risposta ad angosce del nostro tempo: “È finita la secolarizzazione. Abbiamo davanti un tempo nuovo. Ha lasciato macerie e ha prodotto cose positive. Adesso dobbiamo alzare lo sguardo e domandare o mendicare la novità, e che questa novità intacchi le persone che incontriamo”. E analogamente, di fronte alle più urgenti tensioni sociali, come quelle legate all’accoglienza degli immigrati, “non ci si può stupire che la gente abbia paura, di fronte a filosofie e stili culturali diversi”. Ma, esorta il relatore, “la paura deve evolvere in un atteggiamento di condivisione. Dobbiamo accogliere la paura in noi come una provocazione alla responsabilità a vivere la vita. Dobbiamo rispondere a questa irruzione che è il dono di Dio nel nostro quotidiano, e questa è la radice della nostra responsabilità”.
Il prelato ha poi commentato la definizione di Francesco come “papa inedito”: “È indubbio che lo sti-le di papa Francesco è molto personale e non dobbiamo negare che è stato ed è molto sorprenden-te per noi. Una volta ho detto che la sua elezione è stata come un salutare pugno allo stomaco per noi europei. Un modo in cui lo Spirito si è servito di noi per risvegliarci. Il suo ministero, il modo di vivere la sua vocazione si descrive bene quando parla di discepoli missionari. È fatto di gesti, segni molto concreti e di una cultura di popolo che solo in Argentina e in altre parti dell’America latina si è sviluppata: lui quando parla di popolo parla di “pueblo fidel”, che vuol dire immissione in questa cultura di popolo e insegnamento in senso stretto della parola. Basta pensare alle sue encicliche, istruzioni, omelie di santa Marta o catechesi del mercoledì”.
Scola ha poi ripreso una recente dichiarazione: “Voi sapete che intorno all’ultimo conclave è circola-ta una clamorosa fake news, quella che ha fatto dire a tutti che io sono entrato Papa in conclave per uscire secondo regola cardinale. Assolutamente non è vero, perché mi era evidente che, per la stanchezza penosa dell’Europa – che non ci deve scoraggiare –, per la perdita del senso della presenza nel contemporaneo di Gesù e per la vita delle chiese nella realtà europea, questa non sarebbe più stata in grado di esprimere la figura di un papa. Non c’erano le condizioni e assicuro che ci possono essere tutte le tentazioni, ma questa cosa di diventare Papa non mi ha mani toccato. E realmente Francesco rappresenta quella novità che abbiamo il dovere di imparare”.