L’esperienza degli ospedali cattolici in Uganda

Press Meeting

L’opera delle strutture sanitarie cattoliche in Uganda, soprattutto l’opera degli uomini che le hanno realizzate, sono la testimonianza tangibile di cosa voglia dire “lavorare insieme”, di cosa voglia dire la carità, la solidarietà, la sussidiarietà e l’andare incontro alla sofferenza. Così come Cristo fece. Perché questa è la Chiesa.
Il Nunzio Apostolico in Uganda Cristophe Pierre non ha dubbi: bisogna continuare sulla strada già tracciata. Le sfide sono enormi. Si chiamano modernizzazione, qualità, efficienza, economia. Sono sfide da affrontare. Come da affrontare, e battere, è quella mentalità che ci fa pensare: “non tocca più a noi occuparci di sanità, tocca allo Stato”. Ma cos’è lo Stato?
Invece “no”, tocca ancora a noi, “perché Gesù ha curato gli infermi”, perché mantenere vivi gli ospedali cattolici c’entra “con Dio e con la celebrazione dell’eucarestia”, come ha ricordato l’Arcivescovo di Gulu Giovan Battista Odama.
Oggi in Uganda, in 19 diocesi, operano 27 ospedali cattolici, 230 centri di salute, 12 scuole di formazione. Una consistente realtà – ha detto Daniele Giusti, Segretario dell’Uganda Catholic Medical Bureau – che viene da lontano, che risale a madre Kevina (nel 1903, iniziò l’ospedale di Nsambya e la sua scuola infermieri); a sir Albert Cook tra i protestanti; a padre Ambrosoli che cominciò l’ospedale di Kalongo laddove già esisteva solo un dispensario realizzato da padre Malandra; al Vescovo comboniano Mazzoldi, che volle l’ospedale di Matany. Una strada seguita e ampliata da tanti altri, come Lucille, Dominique e Piero Corti. Mettersi insieme, dunque, cercare l’aiuto di Paesi come l’Italia, che ha risposto sempre in pieno, mettere in rete gli ospedali ugandesi, operare nel campo degli interventi internazionali e con le organizzazioni sia governative che non governative. Un plauso convinto è andato all’Avsi e al Cuamm.
Ci sono grandi problemi sanitari in Uganda. Ne ha parlato George William Paryo dell’Istituto di Sanità Pubblica dell’Università Makerere di Kampala. Mancano i farmaci e le apparecchiature mediche, mancano soprattutto le risorse umane qualificate. Ogni anno, tra mille nati, muoiono 150 bambini sotto i 5 anni. La guerra civile divampa al nord, aumentano gli incidenti stradali. Nel contempo, il Paese conosce oltre alle patologie tipiche locali anche il sopraggiungere delle cosiddette malattie dell’industrializzazione: ad esempio il cancro e il diabete.
A fronte, si colgono importanti risultati, come il calo consistente del contagio da HIV. Buoni risultati ha ottenuto la campagna nazionale denominata “ABC” basata sull’astinenza sessuale, sulla fedeltà di coppia, e sull’uso, in alcuni casi, del profilattico. Ci sono ombre sul futuro dell’Uganda e “l’esperienza degli Ospedali Cattolici in Uganda – ha rammentato Giusti – somiglia molto a quella di una barchetta che naviga in acque difficili e spesso tempestose. Ma su questa barca viaggia Gesù”.
Continuare ad operare significa anche trovare risorse e sostegni adeguati: trovare alleati come la grande casa produttrice di medicinali Pfizer che, insieme ad altri partners, molti dei quali statunitensi, ha contribuito alla creazione in Uganda di un Istituto sanitario all’avanguardia, sia nel campo medico che in quello tecnologico, nella lotta all’HIV/AIDS, dove curare i malati e istruire il futuro personale. Un impegno raccontato con passione da Maria Pia Ruffilli e Paula Luff, responsabili di settore della nota Impresa farmaceutica.

A.L.

Rimini, 24 agosto 2004