Le prospettive dell’Eurozona: dove siamo e dove stiamo andando

Press Meeting

Rimini, 21 agosto 2015 – Lo stato dell’arte della moneta unica. Le politiche di austerity come medicina per curare la crisi oppure farmaco inutile o addirittura dannoso per lasciarsela alle spalle. Come fare ripartire economia e occupazione in Europa. Questi i temi, resi ancora più attuali e urgenti dalle dimissioni di ieri del premier ellenico Tsipras e dai nuovi timori di una possibile Grexit dalla zona euro, affrontati questa mattina al Meeting di Rimini nel dibattito “Le prospettive dell’eurozona: dove siamo dove stiamo andando” (sala Neri Conai). Alla discussione, moderata dal presidente CdO Bernard Scholz, hanno preso parte tre economisti di profilo e valore mondiale: l’italiano Domenico Lombardi, il tedesco Hans-Wernr Sinn e il francese Edmond Alphandéry. Infinito il cursus honorum dei tre relatori attualmente direttori di importanti centri studi economici internazionali, rispettivamente in Canada, Germania e Belgio.
Per aprire il confronto Scholz ha posto sul tavolo tre domande. La Grecia è un caso isolato o un problema sistemico per la moneta unica? Le riforme invocate in molto Paesi sono strumenti sufficienti per uscire dalla crisi? E poi è possibile un taglio o una ristrutturazione del debito dei paesi UE? Soprattutto, ha messo in evidenza come le semplificazioni e l’incapacità di cogliere la complessità della situazione diventino la porta attraverso la quale penetrano populismo, nazionalismo e tentazioni di uscita dall’euro.
A scuotere le certezze di chi considera l’euro il male principale delle nostre economie, sono arrivati dati e cifre presentati da Domenico Lombardi sul nostro Paese: “L’Italia ha un avanzo primario, al netto degli interessi sul debito, tra i più alti della UE, le politiche fiscali sono efficaci e contengono il nostro debito poco sopra il 130% del Pil, se avessimo mantenuto il livello medio degli altri Paesi, viaggeremmo oltre il 200%”. Secondo Donati i nostri problemi sono strutturali e pre-crisi: bassa produttività, scarsa competitività, basso numero di laureati soprattutto in ambito scientifico, scarsa capacità di attirare investimenti esteri, burocrazia. Tutte cose che poco hanno a che vedere con l’euro: “La sfida per l’Italia è la crescita. Con i decimali di punto di questo e dei prossimi anni, il nostro Pil tornerà ai livelli del 2010 solo nel 2033”.
Diversa la situazione in Grecia. L’economia ellenica sconta una base produttiva limitata, inoltre vent’anni di debiti destinati a finanziare welfare e stipendi hanno portato il Paese al collasso. Per Sinn le scelte politiche del governo Tsipras hanno ulteriormente aggravato la situazione: “La Grecia ha ottenuto in questi anni crediti per 434 miliardi. È come se ogni famiglia greca avesse ricevuto 83mila euro. È un costo non più sostenibile per gli stati Ue. Nell’ultimo anno 200 miliardi, 100 dei greci più facoltosi, 100 degli investitori internazionali sono usciti dal Paese”. Secondo l’economista tedesco l’unica soluzione è un’uscita temporanea di cinque anni dalla moneta unica e un ritorno alla dracma: “In questo modo si attirerebbero di nuovo investimenti, i costi della vita sarebbero alla portata di tutti i cittadini e ci sarebbe il tempo di operare le riforme strutturali necessarie a rilanciare la nazione”.
Ipotesi a cui è decisamente contrario il francese Alphandéry: “Con dracma o euro difficoltà e necessità di riforme rimarrebbe invariata, ma la Grecia sarebbe ai margini o esclusa dal mercato internazionale e infliggeremmo una ferita insanabile all’idea stessa di Unione Europea”. Infatti, su una cosa tutti i relatori concordano: rilanciare il processo di ’unificazione politica. Proposta condivisa da tutti e tre è partire da un percorso che porti per esempio a un sistema di difesa, un esercito comune, tra tutti i 28 Paesi dell’Unione. Fatto dall’alto significato politico, culturale e pure economico.

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