Le macchine imparano?

Press Meeting

Rimini, 22 agosto 2017 – Alle ore 18.30, nello Spazio “What? Macchine che imparano?” Piazza A5/C5, Mauro Ceroni, professore di Neurologia dell’Università degli studi di Pavia, e Pietro Leo, responsabile scientifico per la direzione Innovazione, Tecnologia e Ricerca di IBM Italia, si sono confrontati sui miglioramenti e sulle conseguenze che l’avvento delle nuove tecnologie hanno portato in medicina. Marco Cristoforetti, ricercatore presso la Fondazione Bruno Kessler, ha moderato l’incontro.
Leo ha condotto l’uditorio, grazie una serie di diapositive, a riflettere su cosa sia effettivamente una macchina e su quale debba essere il ruolo che svolge, tanto nella vita quotidiana quanto in ambito lavorativo. Per il ricercatore di IBM, «le macchine non devono sostituirsi all’uomo, ma aiutarlo: potendo disporre di milioni di dati, la tecnologia ha lo scopo di coadiuvare l’uomo nelle scelte che deve operare, guidandolo a compiere meno errori». In questo senso, è esemplificativo il fatto che una delle prime cause di morte negli Stati Uniti sia l’errore umano dei medici: «Lo sviluppo di un’intelligenza artificiale che faciliti la diagnosi medica rappresenterebbe un notevole passo in avanti per la sanità. Le macchine, però, sono macchine e non va dimenticato che, quando sono mal programmate o usate non adeguatamente, anche loro possono commettere errori», ha concluso il relatore, citando l’esempio di alcuni algoritmi che, dovendo riconoscere la bellezza femminile, hanno cominciato a fare delle discriminazioni sul colore della pelle.
Sul ruolo del medico e su quale cambiamento debba attraversare il metodo clinico di fronte alle nuove tecnologie si è concentrato invece Ceroni: «Fino ad oggi la medicina occidentale ha sempre utilizzato un metodo preciso: analizzando i dati clinici si può fare una diagnosi. Questa prospettiva ora sta cambiando. I dati possono essere dati in pasto alle macchine e lasciare a loro il compito della diagnosi». Molte sono però, a giudizio del professore, le questioni, anche etiche, che i nuovi sviluppi tecnologici pongono: «Di chi è la responsabilità ultima: dell’uomo o della macchina? Cosa differenzia l’intelligenza umana da quella artificiale? È evidente che c’è qualcosa nell’uomo di irriducibile a una serie di calcoli e formule, la coscienza». Per questo motivo, «se è vero che la tecnologia verrà sempre più utilizzata in base all’utilità che può avere, è altrettanto vero che la diagnosi definitiva e il giudizio sull’utilità della macchina spetta all’uomo, in particolare al medico. L’intelligenza artificiale può aiutare, ma non sostituirà mai l’uomo».
Diverse sono state, infine, le domande che le due riflessioni hanno suscitato nel pubblico, in particolare sui possibili scenari futuri, in campo medico e non, riassunte in un’unica grande questione: le macchine raggiungeranno la potenzialità dell’uomo? La risposta, per entrambi i relatori, è chiara: «C’è un margine di mistero e potenzialità nell’uomo rispetto all’intelligenza artificiale, che rimarrà sempre. Nessuna macchina, ad esempio, potrà mai dare un giudizio e un significato sintetico alla cose che non sia un susseguirsi di semplici informazioni analitiche».
(E.P.)

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