Affollatissima la sala D1 che ha ospitato l’incontro delle ore 15.00 su “Le imprese italiane e la sfida dei mercati globali”. La tavola rotonda è stata moderata da Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere, che ha richiamato il tema del Meeting sul destino che abbandona l’uomo. Il moderatore ha introdotto l’intervento di Brunello Cucinelli, presidente e amministratore delegato della Brunello Cucinelli spa, il quale ha sottolineato molto il valore della creatività. “In tutte le realtà organizzative l’aspetto creativo è determinante. Siamo sul mercato internazionale dell’abbigliamento da parecchi decenni e ci rendiamo conto che il sostegno maggiore all’economia italiana è dato dagli industriali. Il senso di appartenenza, di collettività e cooperazione nella realizzazione dei processi determinano come viene gestita l’impresa”. Se ci si sente custodi di una impresa, oltre che azionisti, ha osservato Cucinelli, “possiamo investire una parte maggiore del nostro tempo nella gestione, convincere altri a investire capitale e agevolare l’incremento della produttività”.
Facilitare processi di incremento della managerialità è un aspetto sicuramente importante, “ma la creatività – aggiunge Cucinelli – è l’aspetto fondamentale della gestione della nostra impresa, per cui gli attuali e futuri manager del nostro settore devono possedere, oltre alle competenze tecniche, anche capacità intuitive ed originali per poter mantenere l’eccellenza nei mercati internazionali”.
Sulla stessa linea l’intervento di Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica. “Molti giovani che escono dalle università italiane hanno competenze inferiori rispetto ai loro coetanei europei: facciamo fatica ad inserire in organico persone dotate di competenze linguistiche diversificate per tutte le lingue. Le università italiane non rientrano fra le prime dieci europee”. In Italia mancano scuole di formazione per manager: questo è un grande limite, anche perché non va dimenticato che i due motori dello sviluppo di una nazione sono “le grandi imprese e le città globali che riescono ad attirare investimenti”.
Improntato sulla salvaguardia del diritto al lavoro è stato l’intervento di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, per il quale sono tre i punti nodali del lavoro in Italia. Il primo riguarda la collettività. “Se il paese è in difficoltà, qualcuno deve prendere l’onere di trainarlo. Lo sviluppo del lavoro non deve dipendere dal singolo, ma dall’intera organizzazione dell’economia nazionale. La Cisl ha spesso cercato di difendere le istituzioni nazionali, ma gli sprechi di denaro pubblico sono tuttora molto elevati, specie in alcuni settori, quali le pubbliche amministrazioni e le aziende municipalizzate”.
Il secondo punto dolente è la scarsa produttività. “Se non arriviamo ad una produzione all’altezza del mercato europeo non ce la faremo. Rischiamo di consegnare il nostro mercato agli altri paesi che verranno a gestire servizi in casa nostra”. Altrettanto critico il terzo fattore, la qualità della produttività: “Se si parla di qualità della produzione e in particolare di formazione del lavoratore, la situazione del nostro paese è molto carente”.
Bonanni si sofferma poi sulle forme di contratto atipiche presenti sia nelle organizzazioni private che nel pubblico impiego. “La contrattazione nazionale deve prevedere salari adeguati ad un tenore di vita dignitoso per il lavoratore e in linea con l’andamento economico del paese e della produttività della singola impresa”. Tuttavia, osserva il leader sindacale, gran parte del patrimonio nazionale viene spesso male investito e le organizzazioni sindacali fanno molta fatica a capire dove finiscano i fondi. “I rinnovi contrattuali – aggiunge – sono bloccati ormai da parecchi anni. Nel settore pubblico da ben otto anni non è possibile concludere accordi per gli incrementi salariali. In più, da circa vent’anni non avvengono inserimenti stabili di nuove risorse, mentre crescono contratti atipici quali ‘co.co.co’, ‘co.co.pro’ e false partite Iva”. Di qui il sollecito al governo Renzi a “sciogliere i difficili nodi della precarietà e degli incrementi salariali”.
Flavio Valeri, chief country officer del gruppo Deutsche Bank in Italia, propone alcuni dati sull’imprenditoria italiana. “Vi sono nella nostra nazione circa cinquemila aziende con caratteristiche di imprese globali che non hanno bisogno di credito bancario ma di altri servizi come tesoreria o garanzie internazionali”. Una seconda categoria di aziende riguarda 15mila realtà in settori quali le rubinetterie, le valvole e il packaging. Queste aziende, ha osservato il manager, “sopravvivono senza espansione” e investono il loro capitale all’estero. Si tratta di aziende che necessitano di credito per conquistare i mercati globali e fare il salto di qualità. Infine vi sono aziende a conduzione domestica e sono quelle maggiormente colpite dalle crisi, oltre che molto indebitate. Gli istituti di credito, spiega Valeri, “devono capire se sostenerle perché il loro business ha ancora un futuro, altrimenti saranno destinate alla scomparsa se non si impiegheranno risorse per favorire un corretto reinnesto sul mercato”.
(F.Po., A.S.)