LE FERITE INVISIBILI DI CHI TORNA DAL FRONTE

Press Meeting

Nel terzo incontro del ciclo “Storie dal mondo” (sala Neri, martedì 23 agosto, ore 19.00) è stato proiettato il documentario “Ward 54” di Monica Maggioni, prodotto da Rai Cinema e Mediakite. Il documentario, cui è stato assegnato il premio Opera Prima al Festival di Biarritz, descrive il dramma dei ragazzi che tornano dal fronte iracheno e che affrontano la vita del reduce, “spesso una non-vita”, commenta Roberto Fontolan introducendo il filmato. L’esperienza della guerra e della violenza (sia subita che inflitta) lascia in loro una ferita profonda e li riduce spesso in uno stato di smarrimento e frustrazione (il termine medico è Ptds, disturbo da stress post-traumatico) che non raramente si conclude con il suicidio. I numeri sono impressionanti: recenti inchieste dicono che circa un terzo dei reduci mostrano i sintomi tipici della Ptds. Il risultato è una media di 18 tentati suicidi al giorno tra i reduci degli Stati Uniti e il numero dei suicidi ha ormai raggiunto il numero dei morti sul fronte.
Il documentario riporta la testimonianza di quattro ragazzi che, tornati dall’Iraq, hanno accusato profondi disturbi psicologici. Colpisce la giovane età dei testimoni: i ragazzi hanno vissuto l’esperienza della guerra intorno ai vent’anni. In tutte le loro storie emerge un profondo senso di colpa, una mancanza di senso della vita e, soprattutto, una enorme solitudine. Kristofer Goldsmith, classe 1985, racconta come i problemi si siano manifestati inizialmente con l’alcolismo: moltissimi reduci, infatti, hanno gravi problemi di insonnia e trovano una soluzione nell’alcol e negli psicofarmaci. Anche i genitori di Jeffrey Lucey, la cui vicenda si è conclusa tragicamente con il suicidio dopo pochi mesi dal rientro, raccontano che il figlio riusciva a dormire solo se stordito dall’alcol. Ciò che accomuna tutte le loro storie è la resistenza del governo nel riconoscere il loro problema e nel sostenerli, ma, ancora più grave, la difficoltà riscontrata nel reinserirsi in una società che sembra non accoglierli e in un contesto famigliare che non sa capirli e aiutarli.
Alla fine dell’incontro Gian Micalessin, rispondendo alle domande del pubblico, ha spiegato la differenza che esiste tra l’esercito americano e, per esempio, quello italiano, dove il problema del disturbo post-guerra è molto meno diffuso. “Ho sperimentato personalmente come la vita nei campi americani sia più dura che negli altri eserciti: meno svaghi, meno cibo, meno dialoghi. I soldati italiani tornano al campo come ad una specie di casa, mentre gli americani parlano poco, non si raccontano i traumi, vivono in uno stato di continua tensione.”
Ha partecipato all’incontro anche Guido Piccarolo, presidente e co-fondatore della Los Angeles Habilitation House, un’opera no-profit che aiuta i ragazzi reduci a trovare un lavoro e a reinserirsi nella società. “I ragazzi si arruolano o per l’ideale di proteggere e servire la patria, o per potersi pagare gli studi al ritorno dalla guerra [il governo Usa garantisce una borsa di studio per i reduci]. In entrambi i casi – spiega Piccarolo – essi hanno un ideale buono. Ma se l’ideale non ti viene incontro nella vita, non può essere sostenuto.” Ha concluso raccontato la vicenda di un ragazzo aiutato dalla sua opera, di come l’incontro con loro gli abbia restituito la speranza: “Nei tre mesi trascorsi con voi ho ricordato i miei talenti, sono tornato ad essere me stesso.”

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