Rimini, 25 agosto 2017 – Quali sono ad oggi le prospettive di crescita internazionale, con la globalizzazione che continua a porre interrogativi sulla gestione dei cambiamenti politici, demografici, tecnologici? E quale il ruolo, in particolare dal punto di vista economico e finanziario, che compete ai piccoli Stati e alle città-Stato, spesso attrattori di fondi offshore? È il tema di cui si è parlato nel corso dell’incontro “Advantage financial: prospettive globali di crescita e dinamiche dei piccoli Stati e della città-Stato”, che si è svolto alle ore 15:00 in Sala Poste Italiane A4, in collaborazione con Advantage Financial.
L’analisi del vicedirettore de Il Corriere della Sera Federico Fubini, a questo proposito, è chiara: «Io penso che questa categoria di entità sovrana resterà molto rilevante anche nei decenni a venire, ma dovrà cam-biare profondamente il suo modo di operare. Il mondo prima della crisi era pieno di liquidità, per effetto delle politiche delle banche centrali, e molti di questi centri offshore fungevano da sottrattori delle basi fiscali e del reddito imponibile, per via dell’assenza di regole o della loro elusione ». Dopo la crisi, la creazione di liquidità è continuata, ha spiegato il giornalista, permettendo a molte banche finanziarie di riprendersi e incrementando i bilanci delle principali banche centrali, ma il debito del settore pubblico, e in alcuni paesi anche del settore privato, ha continuato ad aumentare. Fatto più che rilevante per i piccoli centri offshore, in quanto è cresciuta la pressione dei Paesi avanzati, e questa aumenterà sempre più con l’invecchiamento della popolazione. «Questo vecchio modello di business in futuro sarà impossibile», afferma Fubini. Ma, nonostante ciò, l’importanza dei piccoli centri finanziari resterà invariata, perché «le diseguaglianze di reddito e patrimoniali sono molto aumentate nei nostri paesi, mettendone a rischio la stabilità politica».
La tavola rotonda, moderata dal direttore del Centro Studi Americani, Paolo Messa, ha visto confrontarsi numerose personalità del mondo economico e istituzionale, tra le quali Alain Bifani, direttore generale del Ministero delle Finanze in Libano; Francesco Confuorti, presidente e amministratore delegato di Advantage Financial; Domenico Fanizza, direttore esecutivo per l’Italia, i Paesi Bassi e il Regno Unito della Banca di Sviluppo Africana; Wafik Grais, presidente della Banca Centrale della Repubblica di San Marino; Tom Amolo, segretario politico e diplomatico dell’ambasciatore in Kenya; Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni.
Odd Per Brekk, vice direttore del Dipartimento Asia e Pacifico del Fondo Monetario Internazionale, ha spiegato che «alcuni di questi piccoli centri, come Singapore o Hong Kong, sono una parte importante della crescita asiatica». In quell’Asia, «leader mondiale, che sta affrontando un cambiamento demografico a lungo termine» ed è «molto esposta ai cambiamenti delle condizioni finanziarie». Inoltre «le banche centrali hanno appena iniziato a normalizzarsi, ed è il motivo per cui adesso alcuni Stati dell’Asia hanno debiti». Mentre «la Cina sta lentamente scendendo: è la transizione che continua». Ma il Pil dell’Asia «è aumentato più del doppio dagli anni ’80 e, nonostante il rallentamento, sta ancora guidando la crescita globale».
L’ultimo intervento è stato pronunciato da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. «A livello globale si sta vivendo la rinascita della città: mentre in Inghilterra c’è la Brexit, Londra si isola, Barcellona è molto più della Catalogna, Milano nella crisi sviluppa reddito, e città come Dubai sono fuori dallo schema mediorientale», ha spiegato. Questo significa che «più il mondo si fa globale e più l’uomo si fa locale; ma le città non sono come quelle medievali, chiuse nei loro muri, ma ragionano con tutti. Le città», ha concluso,« sono tornate ad essere un punto di riferimento culturale, e in quanto tale anche per superare il nazionalismo. L’Ue deve valorizzare queste identità che hanno loro culture, economie e politiche».