L’appiattimento del mondo e la domanda di verità

Redazione Web

L’appiattimento del mondo e la domanda di verità

 

Rimini, 23 agosto 2023 – La comunicazione interpersonale appare oggi come una sfida che fa da sfondo alle tante sfide globali e talvolta è all’origine di incomprensioni e chiusure. La mancanza di una cultura comune, il lessico impoverito e semplificato, l’abuso degli emoticon, impattano le nostre comunicazioni che sempre più occupano gli spazi virtuali piuttosto che interessare i rapporti tra individui.

Che rapporto esiste tra l’appiattimento del mondo e la ricerca della verità? Per approfondire questa tematica di grande attualità sono stati invitati Adrien Candiard, membro Institut dominicain d’études orientales (Ideo), scrittore, autore di Qualche parola prima dell’apocalisse (Lev), e Olivier Roy, professore di Scienze politiche all’Istituto Universitario europeo di Fiesole, Direttore del progetto ReligioWest, autore di L’Aplatissement du monde: La crise de la culture et l’empire des normes (Seuil), in uscita nel 2024 per Feltrinelli.

Il moderatore Marco Bardazzi, giornalista, afferma che «questo incontro ha uno dei titoli più belli del Meeting. In passato c’era una grande attesa per un “appiattimento” in senso positivo (la globalizzazione, l’euro, i viaggi e internet). Oggi viviamo un mondo appiattito diverso da quello della globalizzazione, dove si preferisce cancellare quel che é avvertito come di parte».  Il moderatore chiede ai due ospiti di dettagliare la prima parte del titolo dell’incontro.

Roy dichiara che «le cosiddette “faccine” sono l’emblema dell’appiattimento della cultura. È in crisi la cultura in generale: la lingua internazionale si dice sia l’inglese, ma quello parlato è sconnesso dalla cultura del paese d’origine. La lingua è usata come un codice, non c’è mai un implicito, non si fanno battute. La complessità è eliminata. Anche le emozioni sono culturalmente strutturate, il sorriso non vuol dire la stessa cosa in tutte le culture: oggi con gli emoticon si codificano le emozioni per ridurre l’implicito al minimo. Anche in ambito sessuale si utilizzano delle codifiche totalmente esplicite. Questo obbligo di doversi spiegare sempre esplicitamente porta a creare delle comunità monotematiche (calcio, Harry Potter, manga) accomunate da dei marcatori specifici. Ma queste comunità non si parlano tra loro e a volte si detestano. Queste culture identitarie sono narcisistiche, sono il contrario dell’amicizia, dell’apertura alla diversità. Poiché la comunicazione deve essere esplicita, occorrono delle norme. La convivenza non è più fondata su ciò che condividiamo, ma su delle regole, generando un appiattimento, un impoverimento che va a discapito della sfera religiosa».

Candiard, che risiede al Cairo ed è priore del suo convento domenicano, ricorda che «oggi la parola identità è identificata con i marcatori della propria cultura, ma l’identità è un fatto che non può essere discusso. Se dibattiamo d’identità vuol dire che essa non esiste più. Nel mio villaggio», prosegue, «c’era il presepe. Poi ci sono state delle discussioni e oggi non c’è più perché non c’è più l’identità. Una delle nostre difficoltà è la confusione tra la fede e l’identità: la fede cristiana può essere proposta, l’identità no. In Egitto la religione è sulla carta di identità perché è identitaria. È giusto chiedere il rispetto per le persone in Europa, ma le identità non debbono essere rispettate a priori fino a evitare le discussioni. C’è necessità di un’etica della discussione. Oggi il discorso serve per esprimere posizioni più che idee. Si cerca di collocare l’altro nello scacchiere delle posizioni. Bisogna prendersi il tempo di far crescere l’amicizia, che è una condizione per avere una vera e propria discussione».

Per ciò che concerne la seconda parte del titolo, il moderatore asserisce che «è difficile trovare un terreno comune a livello di metodo per cercare la verità» e chiede ai suoi ospiti una riflessione.

Roy osserva che «la pandemia ha accentuato l’appiattimento del mondo perché ha isolato le persone, desocializzando la società e rafforzando le sottoculture virtuali. Ciò ha generato il complottismo razionale e l’isolamento della loro comunità, un individualismo paranoico. Come ritrovare un luogo in cui parlare della verità? L’importante è discutere con le persone che vivono nel nostro ambiente. Il movimento dei gilet gialli in Francia cercava di ricreare un legame sociale, condividendo la strada, le grigliate, alcuni elementi politici. La risposta dello Stato e della società è stato un rifiuto, una repressione. Torniamo alla base, creiamo spazi in cui ci siano rapporti sociali di base. Gli spazi di omogeneità sono dei safe-space e attraversano tutto l’arco politico, non sono nè di destra nè di sinistra. Per il futuro non faccio previsioni, ma deve succedere qualcosa dalla base perché avvenga un cambiamento».

Padre Candiard, interloquendo con il moderatore sul suo libro sull’apocalisse, sostiene che «non si può ridurre l’apocalisse a una visione finale e appiattita del mondo. L’apocalisse può essere, se la capiamo bene, uno strumento per andare avanti. Non catastrofe, ma rivelazione. Apocalisse non del futuro ma del senso della storia. Le principali minacce che mettono a rischio la vita umana, il nucleare e il cambiamento climatico, sono frutto del peccato dell’uomo. Il peccato è qualcosa che fa del male, ed è una categoria che spiega tante cose della nostra storia; dobbiamo proporla alla riflessione comune, perché la rivelazione deve essere condivisa. La verità», prosegue Candiard, «esiste ma non è disponibile: ognuno oggi vive isolato con la sua razionalità, invece dovremmo cercare la verità insieme agli altri. Quando sono solo con la mia razionalità creo cose coerenti ma con una visione parziale. La razionalità la creiamo se siamo più di uno, come sperimento io al Cairo con il dialogo interreligioso».

In conclusione il moderatore domanda: «Da soli non si va da nessuna parte, cosa aggiunge l’amicizia?». Per Candiard «il dialogo non si fa tra Chiesa e Islam, ma tra persone: l’amicizia è la chiave per uscire dalla drammaticità della nostra fase».

(G.P.)

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