Rimini, giovedì 20 agosto – Durate il lockdown, il mantra dell’ “Andrà tutto bene”, era ripetuto ad ogni ora, senza che a nessuno venisse in mente di fondare ragionevolmente questa attesa. Si sperava senza una certezza. Si attendeva che la tempesta passasse e basta. Ieri sera al Meeting si è parlato di questa speranza di bene, che va ben oltre l’emergenza Covid, speranza iscritta, ricorda Pavese, nella nostra natura («Qualcuno ci ha promesso qualcosa? Allora, perché attendiamo?»): il presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, Bernhard Scholz, ha intervistato il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón. Carrón ha esordito indicando nel Meeting un esempio di quel risveglio umano che è frutto di una speranza costruita su una roccia solida, da non confondere con l’ottimismo a buon mercato, incapace di resistere quando «la realtà diventa una implacabile sfida. Il Covid ha reso necessario distinguere tra le due cose». Secondo Carrón, tutto dipende dal proprio punto di appoggio, che permette di alzarsi al mattino con dentro qualcosa di più del semplice desiderio che il tempo passi, come magari è successo a molti durante la pandemia: «Questa attesa vuota è insopportabile. Invece una speranza solida non ha paura di quello che può accadere, anche contro le proprie attese. Chi spera si apre all’imprevisto e dà ragione a Montale quando sostiene che “Un imprevisto è la sola speranza”». L’apertura alla realtà e all’imprevisto, per Carrón, «è la grande sfida che abbiamo davanti», accettarla ci permetterà di riconoscere, in noi e fuori di noi, energie, novità, creatività, capacità di bene insospettabili. Scholz ha ripreso la questione del “punto di appoggio”, del fondamento su cui costruire quando la realtà non ci corrisponde. «Davanti alla provocazione della realtà», ha affermato Carrón, «uno fa il test di quello che ha fatto durante la vita. Ha ragione don Giussani, chi è stato sfidato in tanti modi dalla vita scopre di avere risorse che sono ignote a chi è stata risparmiata la fatica dell’esistere».
Ma le persone hanno fatto tesoro dell’esperienza del Covid? «Se un’esperienza così intensa non lascia traccia quando si ritorna alla vita normale, neanche in coloro che pure l’hanno affrontata con altruismo, questo dipende dal cammino che uno ha fatto nella vita. È come se la vita fosse passata senza farci crescere come persone. Eliot è nel giusto quando dice che spesso possiamo perdere la vita vivendo».
Nel suo ultimo libro, “Il brillìo degli occhi”, Carrón racconta di un adulto, rassegnato alla vita, che si ridesta per l’incontro inaspettato con una persona che nello sguardo aveva una luce particolare. E l’adulto assonnato comincia a far suo quel gratuito “brillìo”. «La speranza nasce quando succede qualcosa nel presente, nella peggiore situazione che posa capitarti, e vedi che c’è qualcosa che ti spalanca lo sguardo, che riapre il tuo futuro. “La speranza è certezza nel futuro in forza di una realtà presente”, dice Giussani».
Nella seconda parte dell’intervista, Carrón ha insistito sul fatto che la rinascita di un individuo come di una società possa essere determinata soltanto da un fatto presente, da qualcosa che accade qui e ora, non da sforzi moralistici e discussioni teoriche: «I discepoli di Gesù avevano a che fare con uno presente, che nella vita di tutti i giorni lasciava stupiti, sia quando faceva i miracoli sia quando mangiava e beveva. Lo hanno visto salvarli dalla tempesta, lo hanno visto morire e poi risorgere. Per tutto questo non potevano non dire con San Paolo che nulla li avrebbe mai separati dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù. Noi abbiamo una certezza così radicata che qualunque cosa capiti nessuno potrà staccarci da questa presenza?», ha continuato il presidente di CL. «Ciò può accadere quando si incontrano persone che incarnano i concetti più importanti del vivere. Se le incontri, se le segui, diventi in grado di reggere le sfide della vita, si acquista una certezza che ti fa essere sempre presente a te stesso. Il Meeting si fa perché ci sono persone così, che non si arrestano davanti alle difficoltà, che non hanno paura. Per la speranza che ci è capitata per grazia dobbiamo testimoniare tutto questo».
Scholz ha poi portato il discorso sulla responsabilità educativa che le vecchie generazioni ha nei confronti dei giovani, tema già messo in primo piano da Mario Draghi nell’intervento inaugurale del Meeting. Il sacerdote spagnolo ha ricordato che «ci vogliono persone che accompagnino i giovani nella vita, non che li intimoriscano o che cerchino di difenderli preservandoli dal reale. La strada giusta è introdurre i giovani alla realtà, offrendo suggerimenti, possibilità, iniziative da prendere. I genitori, gli educatori devono far scoprire ai giovani le loro potenzialità, i loro punti di appoggio per continuare la loro strada». Di un cristianesimo così, oggi, in giro se ne vede poco. «Hanno ragione i nostri critici quando si imbattono in una religione esangue», ha osservato Carrón, «che non ridesta l’uomo che la incontra e lo distoglie dalle cose di questo mondo. Ma il cristianesimo risveglia nelle persone la voglia di vivere e fa venire il desiderio di “mettere le mani in pasta”. Gesù stupiva perché era impegnato con ogni cosa della vita e in qualsiasi incontro faceva meravigliare per come ci stava dentro. Il cristiano è uno che sperimenta quaggiù il centuplo di energie, di creatività, di capacità di amare, di vincere le sconfitte. Gesù compie l’uomo nella sua attesa: per questo interessa ed attrae».
«Ma», ha concluso Scholz, «questa speranza è cosa che facciamo noi o è un dono?». «La speranza è un dono che riceviamo», ha risposto Carrón. «È un imprevisto che troviamo incrociando qualcuno che ci sorprende per il suo modo di fare. Occorrono persone che testimonino che nella loro vita è successo qualcosa; costoro sono una speranza per noi. Ma noi dobbiamo lasciarci colpire da loro nella nostra fame e sete di pienezza, dobbiamo seguirle, vivere con loro. Allora qualunque cosa succeda saremo uomini che camminano eretti nella vita».
(D.B.)