“Agli inizi degli anni Novanta”, ha ricordato Alberto Savorana, introducendo l’incontro, “ci siamo impegnati nella battaglia culturale sulla storicità dei Vangeli. Il Meeting invitò lo scomparso padre O’Callaghan, che affrontò l’argomento a partire dai manoscritti di Qumran. L’appuntamento di oggi si riallaccia a quella battaglia e a quell’incontro. Il lavoro di quella che ormai possiamo chiamare, in campo esegetico, ‘la Scuola di Madrid’, procede nella stessa direzione a partire, però, non da nuovi manoscritti, ma dallo studio della lingua”.
È stata poi la volta di una vera e propria lezione, di circa un’ora, svolta in due tempi e a due voci dai relatori, Mons. Cèsar Augusto Franco Martìnez, Vescovo Ausiliare di Madrid, e Josè Miguel Garcia, Docente di Esegesi del Nuovo Testamento presso la madrilena Facoltà di Teologia San Damaso.
Mons. Franco Martìnez ha ricordato le diverse pubblicazioni scientifiche della “Scuola di Madrid”, cresciuta intorno al prof. Herranz, e ne ha indicato il metodo. “Da circa sei anni”, ha detto il Vescovo, “facciamo esperienza che il primo compito che devono realizzare gli studiosi del Nuovo Testamento è quello di identificare le anomalie di redazione o di senso del testo greco. Solo dopo aver compiuto questo primo passo, si può passare al secondo, che consiste nello spiegare come ha potuto nascere la stranezza del testo greco che abbiamo davanti”. Si tratta di un lavoro laborioso e faticoso: di risalire, dalla traduzione greca, al testo aramaico scritto dai primi redattori del Vangelo. Questa laboriosa operazione di ricostruzione dell’originale aramaico è in grado di far sparire stridenze e stranezze presenti nella traduzione greca e di contestare una diffusa linea esegetica che utilizza questi problemi per affermare un presunto carattere mitico dei Vangeli. Dopo aver ricordato che questo lavoro su cinque passaggi oscuri della II lettera ai Corinzi di S. Paolo ha dimostrato che, quando scriveva l’Apostolo dei Gentili, “si usavano già i Vangeli scritti in tutte le Chiese come lettura sacra nella celebrazione” (e la prima lettera di S. Paolo è dell’anno 50), Franco Martìnez si è fermato sul racconto della scoperta del sepolcro vuoto in Marco, su alcune sue stranezze e sulle discrepanze rispetto ai passi paralleli di Giovanni e degli altri evangelisti. Poi ha fatto un lavoro analogo prendendo in considerazione la scoperta del sepolcro vuoto secondo Matteo.
La parola è passata quindi al secondo relatore, Josè Miguel Garcia, che ha approfondito l’affronto dei medesimi avvenimenti riferiti dall’evangelista Giovanni. In tutti i casi analizzati si confermava lo stesso principio: la ricostruzione dell’originale aramaico è in grado di portare chiarezza e coerenza ai racconti evangelici. Nella parte conclusiva del suo intervento, Garcia ha citato alcuni passaggi del discorso di Ratzinger del 29 aprile scorso, per il centenario della Pontificia Commissione Biblica: “L’opinione che la fede come tale non conosca assolutamente niente dei fatti storici e debba lasciare tutto questo agli storici, è gnosticismo: tale opinione disincarna la fede e la riduce a pura idea. Per la fede che si basa sulla Bibbia – sono ancora parole di Ratzinger – è invece esigenza costitutiva proprio il realismo dell’accadimento”. I tre racconti di Marco, Matteo e Giovanni, “colti nel loro originale aramaico”, ha detto ancora Garcia, si completano meravigliosamente. Questi racconti non sono, come vogliono tanti studiosi, racconti leggendari, scritti tardivamente con uno scopo apologetico o per esprimere una teologia, bensì racconti di eventi storici”: e se la domanda che intitola il Meeting 2003 esprime il nostro desiderio di vita piena, di felicità e di compimento, possiamo dire che “la risurrezione di Gesù è l’annuncio che questo compimento è successo in quest’uomo. (…) Quindi in Lui è la nostra vittoria su quello che tenta di distruggere il nostro compimento (…) La mia gioia, quindi è la sua presenza”.
V.C.
Rimini, 27 agosto 2003