“La ragione all’infinito?” è la domanda che ha dato vita all’odierno dibattito di filosofia durante il quale Enrico Berti, docente di storia della filosofia all’Università di Padova, ha risposto a quattro domande, sorte da un lavoro comune di riflessione che un gruppo di filosofi, presenti al tavolo dei relatori, sta conducendo, a partire anche quest’anno dal titolo del Meeting.
Costantino Esposito, docente di storia della filosofia all’Università di Bari, ha chiarito lo scopo dell’incontro: approfondire la questione del rapporto tra la ragione e l’infinito. Premesso che “l’infinito è un termine costante per la ricerca razionale”, non si può non constatare come ultimamente stia venendo meno “il riferimento strutturale della ragione all’infinito”, che è così privato di un ruolo costitutivo nella conoscenza. “L’io è capace dell’infinito?” – ha domandato Esposito a Berti, che ha così risposto: “L’uomo non è in grado di esaurire l’infinito, ma è in grado di comprendere la necessità dell’infinito”. Questa posizione è tradizionalmente chiamata metafisica, anche se – ha precisato subito Berti – “siamo in pochi a difendere la metafisica, ma ci sono segni di una ripresa”.
Partendo dallo spunto offertogli da Giovanni Maddalena, ricercatore di filosofia teoretica all’Università del Molise, che ha citato la posizione, sostenuta anche dal naturalismo, che nega la presenza del fattore infinito, il professor Berti ha messo in guardia dal pericolo rappresentato da quella filosofia che, basandosi sulla teoria scientifica dell’evoluzione, esclude qualsiasi ricorso al trascendente. “È la minaccia più grave per la capacità della ragione di comprendere l’infinito”, ha aggiunto il filosofo.
Massimiliano Savini, ricercatore di storia della filosofia all’Università di Lecce, ha chiesto un parere rispetto alla tendenza attuale che interpreta la filosofia degli antichi in modo immanentistico, affermando che l’uomo può essere felice nella sua finitezza, senza il bisogno di un richiamo al trascendente. Berti ha risposto che l’uso immanentistico della filosofia antica per negare l’infinito è errato, perché ad esempio già Aristotele ha sostenuto che all’uomo, per essere felice, sono necessarie condizione esterne.
“Il desiderio come dinamica dell’esperienza – ha chiesto Paolo Ponzio, docente di storia della filosofia all’Università di Bari – non potrebbe essere per la ragione una traccia dell’infinito?”. “Sì”, è stata la risposta netta del prof. Berti, che ha poi spiegato: “C’è una convergenza perfetta tra la ragione sul piano conoscitivo e il desiderio sul piano pratico”, dove per desiderio razionale si intende la ricerca di ciò che è veramente bene per l’uomo. “Inteso così – sono le parole dello studioso – il desiderio è rivolto verso l’infinito come la ragione”. Il grande problema del desiderio razionale è la morte: solo il cristianesimo, promettendo la vita eterna, non è nemico della ricerca di ciò che è veramente bene.
Concludendo il dibattito Enrico Berti ha affermato che “non vedo l’essere filosofo in contrasto con l’essere credente”, perché è vero che la filosofia non conduce (nel senso di produrre) alla fede: tuttavia questa ha bisogno di spazio. Spetta alla filosofia, in quanto è in grado di riconoscere che la vita non si spiega da sé, di rimuovere gli ostacoli per aprire alla fede.