La presenza di un passato remoto: la Mesopotamia nelle più recenti scoperte archeologiche

Press Meeting

Rispondere all’emergenza uomo significa anche illuminare il presente attraverso l’immedesimazione con la vita degli uomini di tanti secoli fa. L’esperienza umana di oggi, nelle sue dimensioni fondamentali, è la stessa di sempre. Per questo il Meeting dedica quest’anno un ampio spazio all’archeologia dell’antica Mesopotamia.
In una Sala Mimosa (B6) stipata all’inverosimile, con molte persone che hanno seguito l’incontro su uno schermo esterno, Alberto Savorana (portavoce di Comunione e Liberazione) ha introdotto la testimonianza degli archeologi che lavorano al progetto di scavo dell’antica città di Urkesh (odierna Mozan), nel nord-est della Siria, nell’antica Mesopotamia: Marilyn Kelly-Buccellati (direttrice del progetto archeologico di Mozan/Urkes, professoressa emerita presso la California State University di Los Angeles e visiting-professor presso il Cotsen Institute of Archaeology della UCLA) e Federico Buccellati (direttore degli scavi del progetto).
Lo scavo – ha esordito Buccellati – sta portando alla luce una parte della città, che oggi ha l’aspetto di una collina coperta di cocci di ceramica, chiaro indizio della presenza dell’uomo. Sono già emersi le mura, il tempio, il palazzo reale, una fossa necromantica, una grande piazza. Essi andranno collocati in un insieme: il lavoro dell’archeologo, infatti, non consiste solo nel trovare, ma anche nel capire i nessi fra i singoli elementi. Il senso e l’utilità dell’archeologia hanno a che fare con il presente. Se per alcuni il passato è un fossile, per Buccellati invece è “una metafora del presente”.
Buccellati ha illustrato in particolare il tema dello spazio architettonico, citando Wittgenstein (“l’architettura è un gesto al quale siamo chiamati a rispondere”). Ha scelto come esempio il tempio del Leone. Collocato dentro la città, ma su una collina artificiale, vi si poteva accedere solo tramite una grande scalinata, essendo la collina circondata da un muro di rivestimento. Una serie di ‘dualità’ articolano lo spazio e comunicano all’archeologo le categorie degli uomini antichi. Riguardano ad esempio l’orientamento dell’edificio, che è rivolto verso l’alto (la scalinata è un invito a salire sulla cima, mentre la fossa negromantica scende verso il basso); oppure il materiale: a fronte delle strutture di mattoni crudi, il muro di rivestimento è fatto di pietre a vista, forse un richiamo alle montagne, da cui proveniva il dio.
Marilyn Kelly-Buccellati ha preso invece le mosse dai sigilli a stampo. L’iconografia di oggetti così piccoli e per lo più allo stato di frammento può suggerire i gusti estetici di chi li creò: motivi geometrici, figure semplici, scene di lotta fra animali o di guerra, sino alla figura di re Sargon (2300 a.C.), la cui preminenza nella società e nella sfera religiosa è suggerita, nelle raffigurazioni, dall’impiego di oro e lapislazzuli.
Al re come persona – ha proseguito la relatrice – vennero a sovrapporsi altre figure, come quella di Gilgamesh, che ci mostra sino a che punto ciascuno di noi può immedesimarsi con un’umanità sia pur remotissima. L’epica celebra la possanza del giovane Gilgamesh. Il re diventa eroe: ‘Il suo corpo suscitava paura’. Ma viene anche invitato a seguire i più saggi: ‘Sei impetuoso. Lascia che questo anziano vada davanti a te’. Il trascorrere della vita umanizza ancor più l’eroe: ‘Gli dèi hanno destinato l’uomo alla morte: perciò godi ogni giorno, danza. Rivolgi la tua attenzione al piccolino che ti tiene la mano, fa’ gioire la tua sposa nell’amplesso’. Gilgamesh arriva infine alla responsabilità del potere, e l’epica evoca le opere che ha edificato per la sua città. “Com’è avvincente e vicino a noi tutto ciò, – commenta stupita la professoressa – l’archeologia vibra di vita!”
Un altro suggestivo esempio di immedesimazione (“ci è sembrato – dice l’archeologa – di rivivere l’esperienza e non solo di documentarla”) riguarda lo scavo di una tomba. Lo scheletro appariva coperto di una leggera peluria, come piume di uccello. “A fare quasi da ‘libretto’ per le fasi dello scavo, ci tornò alla mente il mito di Ishtar, la dea degli inferi”: chi è morto vive nel buio, in un luogo senza uscita, e Ishtar, narra il mito, ‘ha le vesti che sono come piume, simili a quelle degli uccelli’. La descrizione mitologica, dunque, altro non è che la descrizione di una tomba.
La terza affascinante ‘narrazione’ che la Kelly-Buccellati ci ha regalato riguarda la fossa negromantica, utilizzata per comunicare con gli spiriti dei morti. Vi si accedeva per una scala ripidissima chiusa da pietre, poste a impedire l’uscita degli spiriti. All’interno, sono tracciati dei cerchi magici. Tutto ciò fa venire in mente il celebre episodio dell’antico Testamento: re Saul che si reca dalla negromante di Endor perché evochi lo spirito di Samuele. “Vedo un essere divino che viene su dal suolo”, dice la maga: ecco forse la funzione dei cerchi magici.
Federico Buccellati, con le sue considerazioni finali sul lavoro, ha stabilito una volta ancora il ponte tra il passato e il presente. Nei giorni lavorativi dovuti allo Stato, gli uomini formavano decine di migliaia di mattoni necessariamente tutti uguali. Con questo tipo di lavoro partecipavano a un’opera più grande, ma la creatività personale veniva soffocata. Si può ipotizzare – ha suggerito – che il contrappeso alla spersonalizzazione del singolo fosse svolto dall’arte.

(A.D.P.)

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