“Non ci sarebbe poesia se la natura dell’uomo non fosse rapporto con l’infinito”. Riprendendo il titolo del Meeting Davide Rondoni, poeta e scrittore, ne ha evidenziato fin dalle prime battute il legame inscindibile con l’arte. “La poesia arriva sempre a vedere e toccare questo rapporto, che essendo rapporto è qualcosa di vivo, da comprendere ogni giorno. Il lavoro del poeta è mettere a fuoco la vita attraverso le parole. Ma questa ricerca porta inevitabilmente al dramma della poesia: descrivere con parole, corpi finiti, qualcosa che finito non è”. L’uomo e la parola, quindi, sono messe di fronte allo stesso rapporto con l’infinito, che rende i poeti “più sensibili, vivaci e ammaccati”.
Dopo la breve introduzione, lo scrittore forlivese lascia la parola a Gianfranco Lauretano, insegnante e poeta. Il casertano inizia con due autori del Novecento: Osip Mandel’štam (1891-1938) e Clemente Rebora (1885-1957), che esordiscono entrambi nel 1913, nel periodo simbolista. “I due scopi di questa corrente letteraria – spiega Lauretano – erano far coincidere l’arte e la vita e considerare la poesia come religione. Mandel’štam si oppone a questa corrente scrivendo che la parola non ha valore in sé, ma attraverso un lavoro artigianale ha la facoltà di guardare il reale scoprendolo. ‘Amate l’esistenza della cosa più della cosa in sé, il vostro essere più che voi stessi’ scriveva il poeta russo. Allo stesso modo Rebora è convinto che la poesia non serve a se stessa, ma all’umano destino. ‘Santità soltanto compie il canto’ scriveva il poeta piemontese dopo la sua ordinazione sacerdotale”. Sulla scia di Rondoni, l’insegnante sottolinea il valore della poesia, come ricercatrice del nucleo che ogni uomo persegue nella propria vita. Segue la lettura di alcuni brani di Lauretano. Il moderatore commenta: “Chi lavora con le parole lavora con l’insoddisfazione. Ma questa consapevolezza è il più grande segno che qualcosa deve esserci”.
Prende la parola il poeta francese Jean-Pierre Lemaire, che parte descrivendo la genesi della poesia. “All’inizio dello scrivere c’è l’ascolto di qualcosa di nuovo, che non ha nome, di un balbettio che sentiamo nel passaggio di un treno o nelle parole confuse di un immigrato alle poste. La parola poetica è il proseguimento di una parola che esiste già nel reale, non una parola che vuole correggere il reale, come avviene nel Surrealismo. Sposa il moto della vita, il gemito del creato, che sta partorendo. La novità, che sta all’origine della scrittura, nasce dallo stupore, a volte da un dramma, che sconvolge le abitudini”. Il compito della poesia è quello di impedire che questa ferita, provocata dalla realtà, si chiuda troppo in fretta. “Ci dà gli occhi e le orecchie per aspettare e riconoscere questa rinascita”. Segue la lettura in lingua francese di alcune sue poesie più una finale in italiano.
Riprende la parola Rondoni: “Il dramma della poesia mette chi scrive di fronte a una scelta: o la frustrazione di fronte alla sproporzione tra parole e realtà, oppure un grande lavoro. Su quale base scegliere? Per la fedeltà alle cose, come ci ricordava in modo bellissimo Lemaire, nel ‘riprendere il cammino della nascita’”. Conclusione con lo spagnolo Ángel Guinda che legge cinque sue poesie e con Rondoni che pure legge una sua composizione, scritta dieci anni fa, che riprende i contenuti del titolo del Meeting.
(D.O.)
Rimini, 20 agosto 2012