La cultura alimentare italiana: una tradizione innovativa

Press Meeting

L’Italia attraverso la propria tradizione alimentare riesce a trasmettere cultura, un desiderio di bello, di socialità, a soddisfare bisogni culturali e di gusto. Ma attenzione, ci troviamo di fronte ad una serie di problemi: a consumatori “politeisti” che passano confusamente da un prodotto a un altro, ad una produzione e distribuzione molto diversificata fra “corta” e “lunga”, a indici di consumo differenti fra i vari paesi europei.
Così Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere ha introdotto i relatori al convegno “La cultura alimentare italiana: una tradizione innovativa” proposto oggi alle 11.15 in Sala Neri Conai. Gli invitati: il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, il presidente di Ferrero spa, Francesco Paolo Fulci, il presidente di Confagricoltura Mario Guidi, il presidente di Eataly Oscar Farinetti.
Guidi, imprenditore agricolo a capo dell’associazione sindacale che raccoglie 800mila imprese, ha colto nel titolo dell’incontro il nocciolo della questione. “Per fare crescere l’economia italiana e la cultura dell’agroalimentare – ha detto – occorre coniugare la tradizione con l’innovazione. L’agricoltura è fatta di tante piccole aziende che devono inserirsi sui mercati mondiali e con senso di autocritica anche la nostra associazione deve superare la vecchia logica dell’assistenzialismo alle imprese e introdurre la logica della qualità e dell’ingegno. Il presente e il futuro che ci aspetta è fatto di opportunità che tutti dobbiamo saper cogliere”.
Scholz ha introdotto poi l’intervento di Fulci con una domanda. Una multinazionale come la Ferrero, leader indiscusso nel campo dell’innovazione, come intende proseguire in questa direzione? “Proseguendo a lavorare con serietà e determinazione – è la risposta – percorrendo la strada intrapresa in questi anni. Il nostro paese ha una cultura d’impresa nel settore alimentare che ha saputo conservare qualità e tradizione, modificandola secondo le esigenze di modernità e innovazione dei consumatori. Tutto ciò con un’avvertenza: teniamo sempre conto dei pericoli e degli ostacoli del mercato. Mi riferisco al criterio dei semafori rosso, giallo e verde, introdotto nei prodotti importati sul mercato inglese, che orienta in maniera errata le scelte salutiste dei consumatori con analisi e indicazioni fuorvianti sulle confezioni degli ingredienti circa gli zuccheri, i grassi eccetera”. È una impostura, ha concluso Fulci, “un sistema sbagliato che danneggia i nostri prodotti di qualità, un sistema da combattere in sede europea e dagli stessi produttori seri sfruttando l’opportunità dell’Expo di Milano”.
Rivolgendosi a Farinetti il moderatore ha domandato come Eataly si è imposta nel mondo. “È un marchio sinonimo di mangiare e di vivere italiano. Uno stile di vita apprezzato nel mondo”, la risposta del presidente (e fondatore). “Non abbiamo fatto altro che favorire questa tendenza positiva. La nostra cultura alimentare ha nella biodiversità il proprio segreto, un’agricoltura varia favorita dal clima”. Ma i fattori climatici da soli non spiegano il successo dell’azienda. “Non è possibile esportare solo il 31 per cento dei nostri prodotti, nonostante la domanda di maggiori quantità, ed importarne il 35 per cento”. Occorre cambiare filosofia, ma in che modo? “Aumentando la produzione di gamma alta, del tipico e di ortofrutta – ha sottolineato il patron di Eataly – favorendo il consumo e l’educazione e raccontando i prodotti. L’obiettivo è un marchio unico Italia promosso nel mondo da testimonial credibili presi dalla storia quali Colombo, Michelangelo, Leonardo, che, tra l’altro, costano poco… ”.
Il ministro Maurizio Martina ha voluto raccogliere le sollecitazioni dei relatori precedenti. “Sono d’accordo sul fatto che la questione alimentare sia una grande sfida culturale. Le vicende di agricoltura e alimentazione sono la metafora di un grande tema educativo. L’agricoltura è bella ma gli agricoltori devono anche vivere”. Di qui l’esigenza di non restare da soli, di fare squadra e “promuovere tutto ciò che unisce, favorire i giovani nella creazione di nuove imprese”. Oggi sono 12 mila le start up in campo agroalimentare. “Tutti siamo chiamati a collaborare, istituzioni, imprese, pubblico e privato, cittadini – ha concluso Martina – consapevoli che solo con un cambio di mentalità si possono cogliere le opportunità di crescita”.
Si torna così ancora una volta al messaggio del titolo del Meeting: “le periferie del mondo e dell’esistenza”. Il paese è fatto di tante periferie, un substrato di differenze, di culture, di tradizioni e di problematiche che lo fanno ricco. Solo andando al centro, al “cuore” della questione è possibile unire gli sforzi, portare i pesi gli uni degli altri, crescere.
(G.G.)

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