Rimini, 20 agosto 2021 – In Sala Neri è stata presentata la prima della serie di videointer-viste, realizzate dalla rivista Tracce, del ciclo “La crepa e la luce”. Titolo questo, ispirato al verso di “Anthem” di Leonard Cohen, “C’è una crepa in ogni cosa e da lì passa la luce”, per abbracciare la storia di tre grandi protagonisti della cultura del nostro tempo, Edith Bruck, Jesus Carrasco ed Elisa Fuksas, testimoni di vite dolorose, ma soprattutto della scelta di non fuggire dalla crepa della propria umanità, per vedere come la vita può sempre sorprendere. La prima videointervista è il racconto di Edith Bruck, 91 anni, scrittrice, regista, e traduttrice ungherese di origine ebraica, deportata all’età di 13 anni in diversi campi di concentramento tra cui Auschwitz e Dachau e infine autrice de “Il pane perduto”, vincitore del Premio Strega Giovani 2021.
Intervistata da Stefano Maria Paci, la Bruck ha raccontato l’emozione indicibile dell’incontro con papa Francesco: «È difficile descrivere un’emozione così vasta, è come un sogno, una cosa non vera. È come se fossi diventata una bambina a cui viene fatto un regalo mai visto. L’ho visto e sono scoppiata a piangere. È successo forse quello che succede una volta nella vita». Lo ha definito l’ospite che attendeva da sempre, la Bruck, che da tutta la vita scrive sulla convivenza e la tolleranza, come risposta a tutti gli -ismi che tanto detesta: «Io voglio un mondo pacifico che condivida anche quel poco che ha. Mia madre, ebrea credente, mi ha sempre detto: se qualcuno bussa alla porta, apri. E proprio quest’educazione mi ha salvata nei campi di concentramento: la dignità di non farsi spogliare della propria umanità».
Edith Bruck ha inoltre raccontato cinque situazioni particolari vissute nei campi di concentramento, definite da lei “cinque fari”, ossia momenti di rara umanità vissuti nel luogo dell’aberrazione totale dell’uomo, che le hanno fatto fare esperienza di qualcosa di inimmaginabile. Primo fra tutti il momento in cui un soldato nazista la costrinse a staccarsi dalla madre, diretta verso le camere a gas, e a spostarsi nella fila diretta verso il campo di lavoro. O ancora l’incontro a Dachau con il cuoco della cucina dove era costretta a lavorare, il quale le chiese con insistenza il suo nome e le regalò un pettinino per capelli.
Non conosce odio né vendetta la Bruck, che con grande commozione ha raccontato anche di come lei e la sorella, finita la guerra, salvarono cinque soldati ungheresi, facendoli nascondere nei vagoni del treno e mangiando con loro: «Io ho detto a mia sorella: cominciamo la pace! Avevo la sensazione di aver fatto qualcosa di bello». La scrittrice ha raccontato di amare la vita, di averla difesa con tutte le sue forze e di non volerla cambiare per nessuna ragione. Ha confessato inoltre di pensare a Dio ogni sera della sua vita, pur non essendo credente: «È un rapporto quotidiano che non riesco a spiegare, è una forza che mi aiuta. La mia religione è la totale pulizia, onestà, è aiutare il prossimo, rispettare qualsiasi persona. Non sono in grado di odiare nessuno in vita mia. Non conosco questo sentimento. Come può un uomo essere tale e agire così? Non può essere umano, eppure lo è. L’uomo non cambia, la storia non serve per cambiare l’uomo. Nessuna lezione migliora il mondo e non migliora-no gli uomini e dopo si ricomincia sempre daccapo». L’unica via possibile, per la Bruck, è l’educazione alla condivisione, fin da piccoli. La condivisione è creatrice di pace e speranza per un mondo nuovo.