Le grandi idee sono belle, ma vederle raccontate piene di spessore umano le rende speciali. Questa l’impressione che deve aver suscitato don Belisario Lazzarin, sacerdote della “Piccola Opera della Divina Provvidenza di Don Orione”, alla folta platea raccoltasi nel padiglione C2 del nuovo quartiere fieristico di Rimini per ascoltare dai racconti del sacerdote la vita del fondatore della comunità orionese.
“ Ho conosciuto don Orione non dai libri, ma da ciò che traspariva dai volti dei miei confratelli”, così il sacerdote che da anni vive in Romania ha iniziato il racconto della sua esperienza alla congregazione orionese, fatta di semplicità e devozione al prossimo.
Ma è la carità a fare da comune denominatore alla vita di don Orione e, di riflesso, a quella di don Belisario Lazzarin “perché – commenta – veniva sempre fatto ciò che don Orione voleva”. Capitava così che confluissero nella sua casa e in quella dei confratelli persone strane, affinché si imparasse a convivere con tutti, soprattutto con gli emarginati, gli ultimi, i rifiutati dal mondo.
Ma la carità di don Orione andava ben oltre e comprendeva anche i preti allontanati dalla Chiesa per aver commesso qualche mancanza, secondo le regole allora vigenti del Santo Uffizio.
Per loro era pronta una casa, il perdono, il calore del conforto umano e, in certi casi, anche la riabilitazione al sacerdozio visto che don Orione spesso si faceva confessare da loro.
L’esperienza di don Lazzarin è proseguita proprio sulla scia di ciò che don Orione aveva fatto, insegnato e trasmesso. Il fondatore della “Piccola Opera della Divina Provvidenza” cessa, smette, si spegne dopo l’ennesimo rifiuto di trasferirsi nella città di Sanremo, dal clima mite e dunque idonea ad affrontare le cattive condizioni di salute in cui versava don Orione, che invece voleva finire i suoi giorni in mezzo alla gente povera e bisognosa.
La vita di don Lazzarin non poteva non seguirne l’esempio, dalla costruzione della prima comunità orionese in Romania all’acquisto di case destinate a che viveva nella miseria. E poco importava se fossero orfani abbandonati dai genitori e non riconosciuti da uno stato che offriva loro un tetto solo sino ai 18 anni, o vecchiette costrette a vivere nei sottoscala. Per loro c’è sempre un posto, garantito da chi, come con don Lazzarin, “vive con quel cuore di don Orione che ha assimilato”.
G.C.
Rimini, 26 agosto 2003