Stefano Colli-Lanzi, imprenditore e presidente del Centro culturale di Milano, insieme a Dario Nardella vicesindaco di Firenze sono stati chiamati ad intervenire ad un incontro promosso dalla Rivista “Non profit”, rappresentata dal suo direttore Paolo Sciumè, su un tema provocatorio: come bellezza e verità possano “tenere” in un contesto che – com’è sotto gli occhi di tutti – priva le attività culturali di contributi e sponsorizzazioni?
L’incontro, alle 19 in sala Mimosa B6 è stato introdotto da Andrea Simoncini, docente di Diritto costituzionale all’Università di Firenze: “Sostenere la capacità di giudizio culturale è costoso – ha rimarcato – così come tutte le attività dell’uomo inserito in una società civile. Più che in altri settori, la capacità dell’uomo di produrre cultura risente di situazioni di stringente attualità. Come sarà possibile continuare a sostenere economicamente queste attività in questi tempi di ‘profondo rosso’?” Il versante pubblico, ad esempio, si trova sempre più spesso a tagliare in nome del sostegno ad altri inderogabili servizi alla persona, così come il versante privato in tempi di mancanza di liquidità non offre più alternative di finanziamento a cui il mondo della cultura in altri momenti aveva fatto ricorso.
Per Stefano Colli-Lanzi la cultura è “un appassionato tentativo di soddisfare il desiderio di conoscenza del nostro cuore”. Quale imprenditore alla guida di un’importante istituzione culturale, ha rimarcato che la logica del profitto non può esaurire le ragioni del fare impresa. “ Oggi la crisi paradossalmente costringe l’imprenditore a fare di più i conti con una responsabilità sociale: così, quando fa non profit – ad esempio sostenendo opere culturali – può trovare la soddisfazione imprenditoriale nel vedere che l’opera per la quale ha profuso le sue risorse ha fatto del bene”.
Dario Nardella, vicesindaco di una città d’arte di primo piano quale Firenze, si è soffermato sull’evoluzione che il concetto di bellezza ha avuto nella legislazione italiana sui beni culturali, dalla contemplazione del bello che promana da un oggetto specifico – opera d’arte – alla testimonianza di civiltà che il bello rappresenta, fino alla bellezza che genera benessere e diviene esperienza positiva anche nelle relazioni interpersonali. La legislazione nazionale, a partire dall’articolo 9 della Costituzione, è incentrata sull’identificazione tra interesse pubblico del bene culturale e proprietà pubblica del bene stesso.
Oggi – ha sottolineato Nardella – “non ha più senso riservare i beni culturali alla sola tutela dello Stato. Aprire la possibilità di gestione di questo patrimonio anche ai comuni o ai privati significa potenziare la possibilità di conservazione e cura, responsabilizzando le comunità dei cittadini e le loro aggregazioni”. In questo modo la valenza culturale del bene si sviluppa: il bello assume una missione educativa di responsabilità e conoscenza sempre più radicate nelle persone.
Infine Paolo Sciumè ha ricordato il ruolo della rivista Non Profit e le battaglie culturali che conduce nel mondo delle istituzioni sulla peculiarità del concetto di interesse pubblico “da intendere come funzione e non come sinonimo di proprietà pubblica, o ancor più solo statale”. Segue una panoramica in termini prettamente culturali sul tema. In tal senso Sciumè avverte che la ricerca delle soluzioni concrete al sostegno delle opere culturali in questo “profondo rosso” della crisi è possibile anzitutto se si supera il bombardamento delle quotidiane notizie sull’andamento economico. È inoltre sbagliato, spiega l’avvocato milanese, generalizzare quando si parla del debito pubblico. Non sempre è un fattore di negatività assoluta, occorre distinguere le ragioni che lo possono determinare.
(M.B.)
Rimini, 22 agosto 2012