Nel 2015 il numero dei nuovi nati scende al minimo storico negli ultimi 150 anni. Saldo negativo tra nascite e decessi: non accadeva dagli anni del primo conflitto mondiale.
L’analisi dei dati demografici, natalità e mortalità, numero dei nuclei familiari e loro composizioni, universo giovanile che rimane escluso da studio, formazione e lavoro, offre una fotografia disarmante del nostro paese. Invecchiamo, facciamo pochi figli, altrettanto carenti sono le politiche sociali di sostegno alla famiglia, non investiamo nel capitale essenziale per il futuro di una società: i giovani.
Un panorama preoccupante di cui, come ha ricordato Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, il nostro dibattito politico sembra essersi dimenticato, è stato invece messo al centro della riflessione di uno degli incontri d’apertura della seconda giornata del Meeting 2016: “La strana demografia italiana”: c’è un futuro per noi?”. Protagonisti dell’incontro nel Salone Intesa San Paolo, il docente di demografia dell’Università di Milano Bicocca, Gian Carlo Blangiardo e il collega dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Alessandro Rosina, moderati e presentati al pubblico da Giorgio Vittadini.
Il 2015 ha certificato la realtà di un’Italia in declino, se non crollo demografico. Negli ultimi 12 mesi sono state registrati 485.780 nascite e 647.571 decessi. Il saldo naturale (differenza tra nati e morti) è così negativo per 161.791 unità, su una popolazione complessiva di 61 milioni di abitanti (dati Istat). Mai accaduto niente di simile dal triennio della I guerra mondiale e dal 1918, segnato dall’epidemia di Spagnola. Secondo Blangiardo non è un fulmine a ciel sereno: “Già negli anni Novanta i rapporti Istat avevano previsto questo scenario: invecchiamento progressivo con numero di nonni in crescita e diminuzione di nipoti. Negli Sessanta le nascite superavano il milione, oggi siamo a meno della metà, mentre ci si sposa o si va a vivere insieme a età più avanzate e si fanno meno figli. In Francia ogni donna ha in media due figli, in Italia uno”. Un panorama che incide pesantemente sul nostro Paese: “Dobbiamo rivedere i conti pensionistici e di welfare. Continuando così, tra 40 anni 1 milione 200mila italiani avranno più di 95 anni d’età. Eppure, dal 2012 nel cassetto del governo c’è un ‘Piano famiglia’ che offre soluzioni e proposte, ma il disinteresse nei confronti di questi problemi è e rimane assolutamente bipartisan”.
“L’altra faccia dell’invecchiamento è il ‘degiovanimento’”, ha sottolineato Rosina commentando i risultati del “Rapporto Giovani” promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica sui giovani italiani di età compresa fra i 18 e i 30 anni. “Non solo abbiamo meno giovani che in altri Paesi ma siamo in testa alla poco invidiabile classifica Ue dei Neet, ovvero quelli che non studiano, non lavorano e neppure cercano un lavoro”. Sono un esercito di 3,5 milioni di ragazzi, di fatto messi ai margini del sistema sociale e privi di un concreto progetto di vita. “Il confronto con nazioni come Francia e Germania ci dice come il problema sia di contesto sociale e non di qualità e potenzialità dei nostri ragazzi. Nel ‘Rapporto Giovani’ vediamo come i nostri ragazzi vorrebbero avere più figli, rispetto ai desideri espressi dai cugini transalpini. In realtà, in Francia i ragazzi finiscono con costruire famiglie più numerose del previsto perché condizioni di lavoro e politiche sulla famiglia lo consentono. Da noi è il contrario. In Germania dove il declino demografico è simile al nostro, lo Stato ha investito fortemente in educazione, formazione e lavoro, ha reso i giovani protagonisti”. Morale: da loro il Paese cresce, l’economia pure e i giovani sono considerati capitale umano al centro del loro progetto sociale. Come ha chiosato Giorgio Vittadini in chiusura di incontro: “Senza nulla togliere all’importanza della riforma costituzionale, forse abbiamo problemi più urgenti”.