Per ricostruire seriamente l’Iraq occorre rilanciare il multilateralismo, puntando su tre passaggi fondamentali: un’azione diplomatica internazionale forte per affidare all’ONU il ruolo di responsabilità che gli compete, l’impegno dell’Italia e della Europa con la partecipazione della società civile e una conferenza internazionale dei donatori per l’Iraq, coinvolgendo il maggior numero di Paesi interessati.
Lo ha affermato con grande chiarezza e convinzione il ministro degli affari esteri italiano Franco Frattini a conclusione del suo intervento al Meeting di Rimini sul tema: “Iraq, la difficile ricostruzione”. Nella sua relazione Frattini ha ricordato inoltre la necessità di proseguire nell’opera di democratizzazione dell’Iraq con l’assunzione di sempre maggiori responsabilità da parte degli organi consultivi iracheni attivati, ma anche l’impegno dell’Europa contro il terrorismo a fianco degli Stati Uniti. Il nostro ministro degli esteri ha ribadito anche l’impegno diretto in Iraq dell’Italia, a cui sono stati affidati importanti responsabilità in campo sanitario, culturale, istituzionale e di progettazione di settori strategici del nuovo stato democratico iracheno.
L’incontro era stato aperto da Marco Bardazzi, corrispondente dell’agenzia Ansa da New York, il quale ha raccontato come gli americani hanno vissuto la guerra in Iraq, prima che scoppiasse, durante il suo svolgimento e nell’attuale dopoguerra, in particolare mettendo in evidenza il modo con cui i network televisivi Usa hanno trattato l’evento, non senza i grandi condizionamenti dell’amministrazione Bush: su 414 servizi televisivi trasmessi tra il settembre 2002 e il febbraio 2003 appena 34 non avevano origine governativa; su 574 servizi trasmessi prima della guerra, solo 12 si sono occupati dei rischi del dopoguerra, mentre tutti gli altri sono stati incentrati sulle minacce di Saddam Hussein. Il difficile dopoguerra in Iraq, ha aggiunto Bardazzi, ha fatto scendere per la prima volta il gradimento del presidente Bush sotto il 50%, confermando la difficoltà degli Usa ad instaurare stabilmente un regime democratico negli Stati dove sono intervenuti militarmente (su oltre 200 interventi, solo in 16 stati la permanenza militare è stata breve e appena in 4 la democrazia ha superato i dieci anni). Alberto Piatti, direttore generale di AVSI ed inviato in Iraq per conto di Cor Unum, la struttura di carità del Vaticano, parlando della sua esperienza a Bagdad e a Mossul a conclusione della guerra (una guerra che, come tutte le guerre “non aggiusta le cose rotte, ma le rompe di più”) ha raccontato le piccole grandi esperienze di chi è rimasto in Iraq a condividere le sofferenze della popolazione: dal nunzio apostolico, che in tal modo ha garantito la vicinanza del Papa e della Chiesa, alle suore di madre Teresa di Calcutta, rimaste a fianco di 15 bambini gravemente handicappati, e a quelle domenicane dell’ospedale San Raffaele di Milano, che hanno gestito il reparto maternità per tutti, cristiani e soprattutto islamici (“È stato l’ennesimo grande segno che la dignità della persona umana è irriducibile a qualsiasi potere”). Fiorenzo Stolfi, segretario di stato per gli affari esteri della Repubblica di San Marino, ricordando la contrarietà alla guerra del suo piccolo Paese nel solco della sua antica tradizione democratica, e insieme la sottoscrizione della convenzione europea contro il terrorismo, ha affermato la necessità che l’ONU torni ad avere un ruolo internazionale di garanzia, ma anche una funzione operativa primaria nell’opera di ricostruzione dell’Iraq.
Mons. Martin, ricordato il sacrificio di Sergio Vieira De Mello, commissario ONU a Bagdad, vittima del recente attacco terroristico alla sede delle Nazioni Unite, ha sottolineato che la difficile ricostruzione dell’Iraq richiede due azioni: da un lato, l’attuazione di politiche che rispondano alla necessità della popolazione con la partecipazione attiva della società; dall’altro, la soluzione della questione israeliano-palestinese.
A concludere l’incontro, dopo il citato intervento del ministro Frattini, è stato il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, il quale, dopo aver ricordato come la tanto criticata posizione della Santa Sede sulla guerra si sia rivelata la più saggia, ha ribadito la necessità, da un lato, di contrastare con una azione comune europea ed atlantica il terrorismo ideologico che vuole distruggere l’Occidente; dall’altro, di riconoscere la tradizione cristiana nella Costituzione dell’Europa.
El.P.
Rimini, 26 agosto 2003