Si conclude oggi il ciclo di inviti alla lettura, di opere nuove e meno nuove, che ha costellato di proposte editoriali tutte le giornate del Meeting. Camillo Fornasieri, direttore del Centro culturale di Milano, introduce il volume “L’infermiere in Italia: storia di una professione” presentando l’autrice, Cecilia Sironi, infermiera e professore a contratto presso l’Università dell’Insubria, e Marisa Siccardi, anche lei infermiera e membro del Ciso di Reggio Emilia e dell’Irsec di Savona. Fornasieri riferisce che “il settore infermieristico vive in Italia un particolare fermento ed è necessario conoscere il passato di questa professione per averne coscienza oggi”. Inizia la presentazione Siccardi, notando che il libro, ripubblicato dopo una profonda revisione a vent’anni dalla prima apparizione, compie una “rilettura del concetto di nursing, introdotto in Italia negli anni settanta, operata mediante il confronto tra l’esperienza italiana e quella britannica”, e nota che in Inghilterra, patria della pioniera Florence Nightingale, le infermiere occupano anche posti di grande responsabilità e potere decisionale, mentre “in Italia si tende a separarle dal complesso delle attività mediche”. Di contro, ricorda che “in Uganda la persona di maggior rilievo nella prevenzione dell’Aids è un’infermiera”. La studiosa infine lamenta che “in Italia l’assistenza infermieristica è gestita da medici, mentre le due professioni sono distinte ed hanno ciascuna la propria specificità”.
La parola passa all’autrice, che racconta brevemente la nascita del nursing inglese, avvenuta ad opera della borghese Florence Nightingale. Dopo essere stata coinvolta nella gestione sanitaria degli acquartieramenti inglesi nella guerra di Crimea, la Nightingale fondò una scuola per infermiere e contribuì alla nascita di un’analoga scuola italiana, riscattando la figura dell’infermiera precedentemente ritenuta prostituta ed ubriacona. A cavallo tra l’Ottocento e in Novecento anche in Italia si organizzò la professione infermieristica, ma stavolta a partire dalle congregazioni religiose femminili. In tempi di lotta alle istituzioni ecclesiastiche, si lasciò che tali congregazioni proliferassero per l’evidente utilità assistenziale. D’altronde – riferisce Sironi – “non avevano lo scopo di fare una scuola, ma di rispondere ai bisogni”. E rispetto ai personaggi in cui l’autrice si è imbattuta durante la sua analisi storica, afferma di aver studiato “donne affascinati, testarde, molte delle quali con una profonda fede” ed auspica che a differenza del governo fascista, “che esaltando la figura femminile appiattì la professione schiacciandola in posizione assistenziale”, oggi si possa riservare alla attività infermieristica un nuovo ruolo nella prevenzione”.
Fornasieri passa quindi ad un nuovo invito alla lettura. Si tratta della riscoperta dello scrittore americano Chaim Potok, figura chiave nella narrativa americana degli ultimi vent’anni, specie nell’ambito di quella di matrice ebraica, affidando l’incarico a Giancorrado Peluso, insegnante di lettere al Liceo G.B. Vico di Milano, che entra subito nel vivo della questione definendo Potok “profondamente radicato nella tradizione yiddish”. Ma per Potok questo “non è un mondo morto, come nella tradizione europea dove si risolve in nostalgia, ma ancora vitale seppure in conflitto con la modernità”.
Per Potok questo mondo è pieno di significato e, secondo la tradizione letteraria ebraica, inclusa quella biblica, la storia dell’uomo è sempre inserita nella storia universale, ed in particolare il conflitto individuo-tradizione diventa occasione di novità.
Altro tema affascinante in Potok è il conflitto tra parola e silenzio. Spesso il non detto è più di ciò che è detto, ed il silenzio è il luogo ove accade qualcosa di nuovo. È nel silenzio che avviene la chiamata, e in Potok ogni cosa accade per sottolineare il rapporto tra l’uomo e qualcosa che chiama.
Questa, afferma Peluso, è una novità nella narrativa del nostro secolo che, secondo Javier Pradez Lopez “manca ormai di esperienza”. La grandezza di Potok sta nel fatto che i personaggi vengono colti nei momenti della loro transizione, negli istanti in cui matura la loro esperienza, ossia quelli in cui la vita ha un nuovo inizio.
(Ant.C.)
Rimini, 24 agosto 2012