“I medici a questo gioco non ci stanno”. Così Carlo Valerio Bellieni, coautore del libro e neonatalista, ci introduce a una tematica che è stata troppo spesso affrontata a senso unico. La necessità è infatti che vi sia chiarezza, poiché nei media appare spesso una posizione del mondo della medicina univocamente favorevole all’eutanasia: posizione che, a suo parere, non rispecchia affatto quella di tutti i medici.
Il libro affronta la problematica analizzando due tipi di eutanasia: quella passiva (rifiuto di intervenire da parte dei medici, soprattutto sui neonati), e quella attiva (su pazienti con patologie ormai incurabili).
Perché vale la pena intervenire, o di vivere, anche in questo caso? Molte volte decidere di non curare un neonato con meno di 25 settimane di vita è una grossa responsabilità. Spesso avvengono decessi, anche durante gli interventi, ma accade anche che i neonati sopravvivano, e anche che riescano ad avere una vita normale. Ma la vita è ancora un valore? “Vi siete mai chiesti – è stata la sua provocatoria conclusione – perché per staccare la spina a un paziente vogliono un medico, quando lo potrebbe fare chiunque? Per dare un aura di sacralità al gesto, dimostrando che è la vita la malattia, e che va curata con la morte”.
Marco Maltoni (primario dell’ Unità Cure Palliative a Forlì), che ha curato la parte sulla eutanasia attiva, parla invece della scelta dell’eutanasia: “spesso i pazienti chiedono la morte perché si sentono un peso per la loro famiglia”. La decisione di vivere o morire, infatti, dipende anche dallo sguardo che hanno su di te i medici che ti curano: se sanno farti capire che tu hai un valore che trascende la tua salute. Poi esistono cure palliative, che aiutano ad affrontare la morte non solo come dolore fisico, ma anche come dolore umano, legato all’ affetto di chi ti circonda.
Concludendo, Maltoni racconta la sua personale esperienza: “l’incontro con tanti amici e tanti malati mi ha fatto capire che è possibile vivere anche senza la salute”. I fattori che rendono possibile questo sono due: la consapevolezza di un senso della vita e una compagnia. Senza di questi è facile non aspettarsi più niente, e quindi è possibile anche chiedere di farsi somministrare la morte.
G.Z.
Rimini, 21 Agosto 2007