La gente arriva fino alle piscine, non è bastato il Caffè Letterario a contenere chi è qui per ascoltare Giacomo Poretti mentre presenta il suo libro “Alto come un vaso di gerani” (Mondadori 2012, pp. 135). Alle 19 chi non è riuscito a entrare deve accontentarsi di seguirlo dai maxi schermi.
Colpisce vedere ‘Giacomino’ fuori dal trio, senza Aldo e Giovanni. “Quando avevo quattro anni sono stato mandato in colonia. Ero alto come un vaso di gerani”, spiega così il titolo. Un libro comico? Non proprio. “Questo libro è un inno all’esistenza, i capitoli sono scanditi dalle stagioni della vita” commenta Camillo Fornasieri, direttore del Centro culturale di Milano. Nel testo Giacomo Poretti si racconta con tutte le proprie fragilità, le proprie paure.
“Quando ho preso in braccio mio figlio appena nato mi è scoppiata l’ansia di rassicurarlo nei confronti del mondo. Ho iniziato a parlargli, tanto che mia moglie mi ha detto ‘Sei scemo?’ Avevo paura delle domande che mi avrebbe fatto da grande”. Giacomo inizia a scrivere sugli avvenimenti della propria vita, “accorgendomi che era un modo per lasciare, per dirla alla Battiato, ‘la testimonianza del transito terrestre’. Era un modo per riflettere”.
Al pubblico si offre generoso, raccontando di sé. Parla di quando, bambino, camminava per le strade di Milano: “Mi sembrava una città infinita, come il tempo dell’infanzia”. Quando decide di andare via da casa lo fa per il bisogno di andare, per cambiare. Cita il Vecchio Testamento: “Come quando Dio parla ad Abramo dicendogli di andare senza sapere dove. Si deve fidare”.
Gli anni Settanta sono gli anni della politica, dei grandi cambiamenti: “Sono entrato in politica con la speranza che quello fosse il modo di cambiare. È stata una delusione. Qui, come spesso accade, il sogno non ha corrisposto alla realtà. L’uccisione di Aldo Moro ha rappresentato una profonda crisi”. Insieme alla politica, il lavoro. Come operaio in fabbrica, prima, come infermiere nelle corsie dell’ospedale di Legnano. “A un certo punto non si riesce a ridere sopra le cose. Puoi solo portare rispetto al malato. Lo spavento della malattia, lo stupore della vita, sono un modo per guardare a Qualcun altro”.
Prima di buttarsi in politica, prima di fare l’operaio e l’infermiere, da bambino, Giacomo passava i pomeriggi nell’oratorio di don Gaetano e nella sua compagnia teatrale. “Ma c’era bisogno di un incontro particolare”. L’incontro accade. Con Aldo e Giovanni. “Una sera ero tra gli spettatori di un loro cabaret. Quel tipo piccolino che si attorcigliava attorno a quello alto piantandogli una bandierina in testa mi faceva sbellicare. Quando ha gridato: ‘ho conquistato l’Everest!’ ho deciso che avrei lavorato con loro”.
A noi che l’abbiamo ascoltato, tra applausi, risate e silenzi, questo piccolo uomo lascia la frase scritta nella fascetta del suo libro: “Quella dei vasi di gerani è l’altezza giusta per sentire la profondità delle radici”.
(C.R.)