INVITO ALLA LETTURA DELLE 11.15

Press Meeting

“L’America latina è un grande serbatoio di energie per tutta la Chiesa e per il mondo intero”. L’affermazione è di Guzmán Carriquiry, segretario della Pontifica commissione per l’America latina e già segretario del Pontifico consiglio per i laici, che questa mattina ha presentato il suo ultimo libro: Il bicentenario dell’indipendenza dei paesi latinoamericani: ieri e oggi (edizioni Rubbettino). Carriquiry, introdotto da Camillo Fornasieri e dallo storico Arnaldo Fornari, ha voluto innanzitutto ricordare uno dei pensatori cattolici più acuti del continente latino americano, l’uruguayano Alberto Methol Ferrè, morto due anni fa, grande amico del Meeting e di don Giussani, che “quarant’anni fa vide nel movimento di Comunione e liberazione un segno di grandissima speranza per la Chiesa e l’America latina”.
Carriquiry ha ripercorso per grandi linee le vicende dell’indipendenza politica dell’America del sud, mettendo in guardia dalle letture ideologiche e grossolane che guardano agli stati invece che ai popoli, che mitizzano il XIX secolo e negano ogni valore ai trecento anni precedenti, liquidati sbrigativamente come “colonizzazione”. Senza negarne il valore, Carriquiry è stato critico con il processo indipendentista, facendo notare che “mentre al nord nascevano gli Stati uniti d’America, al sud si costituivano gli stati disuniti”. “Gli Usa – ha spiegato – si apprestavano a diventare la più grande potenza del mondo, al sud si assisteva ad una frammentazione politica, al peggioramento delle condizioni economiche delle classi popolari, e ci si apprestava a subire la nuova colonizzazione degli inglesi prima e degli statunitensi successivamente”.
L’autore del libro ha poi fornito alcuni dati di attualità: in America latina vive il 42% dei cattolici di tutta la Chiesa, paesi come l’Uruguay, l’Argentina e la Colombia hanno una crescita annua del 5%, settanta milioni di latino americani sono usciti dalla povertà assoluta. “Il nostro cattolicesimo sta dando una immagine ecclesiale preziosa per tutta la Chiesa universale per la sua letizia di vivere la memoria cristiana accanto al popolo”. Ma c’è un rischio sempre in agguato, più pericoloso del relativismo libertino, delle sette religiose e di certi regimi politici. “È la minaccia, individuata dal cardinal Ratzinger in un suo viaggio in America latina, del grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nella quale la fede si va consumando. Quel che occorre è raccogliere l’appello per una nuova evangelizzazione lanciato a suo tempo da Giovanni Paolo II”.
E di “grigio pragmatismo della vita quotidiana”, poco dopo, ha parlato anche il secondo ospite di “Invito alla lettura”: Franco Nembrini, autore del libro Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare (edizioni Ares, prefazione del cardinale Camillo Ruini). Un pragmatismo, che inquina anche le famiglie cattoliche, dove l’educazione non è più la testimonianza di una vita che si propone ma un rincorrere obiettivi fini a se stessi. Il libro di Nembrini è la trascrizione di incontri con insegnanti, genitori, studenti avvenuti in questi ultimi anni, nel corso dei quali sono emersi i punti deboli della nostra società ma, soprattutto, esperienze di reciproca educazione fra adulti e ragazzi. Secondo Nembrini, c’è debolezza di ipotesi, mancanza di padri, deficit di realtà, incertezza su tutto. Ma c’è anche chi costruisce se stesso e le giovani generazioni. Il titolo del libro, infatti, secondo l’autore, avrebbe dovuto essere Ho visto educare, perché educare non è insegnare qualcosa a qualcuno, deve essere qualcosa in azione, qualcosa che si vede.
“Educare è partecipare alla manifestazione della verità – ha detto Nembrini – è incontrare qualcuno e sentire il proprio io risorgere, sentirsi incuriositi e attratti dall’origine di quello che vedi”. Come nel caso di quella ragazza che, vedendo come vivono i suoi genitori, ha voluto scoprire come essi erano cambiati. “Figli e studenti hanno bisogno di testimoni, perché, fin da quando nascono, fanno questo di mestiere: guardano, guardano sempre”. Ma guardano anche gli adulti e così può capitare che un primario chieda all’autore com’è possibile che tre studentesse di venti anni possano aver cambiato il cuore a lui sessantenne. “È l’esser figli dei propri figli – ha commentato Nembrini – secondo la geniale definizione che Dante ha dato della Madonna nel XXXIII del Paradiso. Non è un processo unidirezionale l’educazione, ma può accadere a chiunque”. È un legame, l’educazione, un rapporto nel quale o c’è la misericordia verso l’altro, oppure fallisce. La misericordia è amare l’altro prima che esso cambi, senza imporgli la gabbia dei nostri pur buoni progetti.
Lasciateli stare, era il secondo titolo che Nembrini aveva pensato per il libro, “un appello rivolto soprattutto alle madri”. “I figli non hanno bisogno di genitori opprimenti né di padri-amici ma di adulti che li lasciano andare e che restano a garantire una casa in cui si può sempre tornare, proprio come nella parabola del figliol prodigo. Occorre, per fare questo, un amore al destino comune così grande, una certezza così grande da portare il peso della croce della libertà dell’altro, dei suoi no”.
Don Stefano Alberto, presente anche lui all’incontro, coordinato sempre da Camillo Fornasieri, ha sottolineato un altro aspetto dell’educazione: non si educa, non si genera alla vita nel significato più ampio, se a propria volta non si è generati, non si è figli. Il sacerdote, docente all’Università Cattolica di Milano, ha comunicato un dato riferito al Meeting: gli scontrini di bar e ristorazione sono calati del 10% mentre è aumentata la presenza a tutti gli incontri. “Vuol dire – ha spiegato – che la gente mangia di meno ma vuol continuare ad imparare, a rigenerarsi e ad educare. Come diceva don Giussani, mandateci in giro nudi ma lasciateci la libertà di educare”. Don Stefano ha richiamato una bella immagine del libro di Nembrini, quella del padre che la sera si inginocchiava e recitava il Pater noster. Quell’uomo in ginocchio ha fatto tornare in mente al sacerdote altri due vecchi inginocchiati: il papa in ginocchio a Madrid, dopo l’uragano, e il milione di persone che, davanti al quel gesto, per dieci minuti è rimasto in silenzio; don Giussani, il 30 maggio del 1998, dolorante per la sciatica, con le ossa che gli scricchiolavano, in ginocchio come un cavaliere antico davanti a Giovanni Paolo II. “Don Giussani non ci ha mai raccontato quello che si sono detti lui e il papa – ha detto don Stefano – ma si “vedeva” la presenza viva di Cristo incarnata dal papa e la gioia di don Giussani. Educare è vedere qualcuno in azione, è vita che si comunica. Come diceva don Giussani è ‘introduzione alla realtà totale’, introduzione non spiegazione”.
Una domanda, infine, come viatico per insegnanti e genitori che in più di 600 hanno affollato l’incontro: “da chi vi lasciate generare voi, oggi, per essere capaci di educare a vostra volta? L’esperienza del Meeting, con i suoi incontri e la sua esperienza di certezza, è già una prima risposta”.

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