Investire in Italia: quale opportunità?

Press Meeting

“La questione degli investimenti esteri in Italia è un tema molto discusso. Tutti a parole li vogliono, poi quando arrivano sembra che ci portino via un pezzo di Paese. Dobbiamo riflettere sul fatto che i dati Censis ci dicono che tali investimenti (pari oggi a 12,4 miliardi di euro) sono diminuiti del 58 per cento nel 2013 rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi. Questo posiziona il nostro Paese al 65mo posto nella classifica mondiale come capacità di attrarre capitali esteri”. Bernhard Scholz, presidente CdO, ha introdotto con queste riflessioni la conferenza su “Investire in Italia: quale opportunità” tenutasi in Sala Neri – Conai alle 17.00. Dei cinque relatori previsti, due, Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, e Paolo Emilio Reboani, presidente e ad di Italia Lavoro, hanno giustificato la loro assenza per motivi professionali e personali.
Per primo ha preso la parola Fabio Cerchiai, presidente di Atlantia e Autostrade per l’Italia, il quale ha esordito affermando che il nostro Paese non solo riceve investimenti esteri ma a sua volta è promotore, attraverso le sue aziende, di investimenti in altri paesi e questo permette alle società italiane di crescere diversificando. I criteri che il suo gruppo considera necessari nell’investire in un paese sono le potenzialità dell’investimento, la credibilità dell’azienda su cui si investe e la stabilità del paese: stabilità intesa come certezza degli assetti politici e contrattuali. “La nostra difficoltà di attrarre investimenti esteri – continua il presidente di Autostrade – non è legata solo alla crisi ma anche a fattori di debolezza interna. L’Italia attrae appena l’1,2 per cento dello stock complessivo di tale investimenti a livello mondiale, mentre la Spagna il 2,8, la Germania il 3,6, Francia il 4,8 e l’Inghilterra il 5,8 per cento”. Atlantia, holding del gruppo, ha azionisti esteri (il 91 per cento dei sottoscrittori dei bonds sono stranieri) ma è un’azienda italiana, per cui “la credibilità del nostro piano industriale con due miliardi di investimenti annui è riconosciuta da tutti”.
L’amministratore delegato di Ducati Motor Holding, Claudio Dominicali, ha attirato l’attenzione del pubblico sulla questione della competitività, legata da una parte all’efficienza e dall’altra al prezzo che si riesce ad imporre su un dato prodotto. “Noi italiani dobbiamo lavorare sul design che produce un alto valore aggiunto”. Ducati occupa circa 1400 persone a livello mondiale, mille quelli della sede principale di Bologna Borgo Panigale, “ed è considerata la punta di diamante del gruppo Volkswagen che ha acquisito l’azienda da alcuni anni”. Significativo il fatto che l’azienda bolognese “rappresenta l’uno per cento del capitale umano di Volkswagen con 570 mila dipendenti”. Quindi, quali i motivi di tanta capacità attrattiva di investimenti di Ducati? “Sono la nostra competitività e il nostro capitale umano – ha detto l’ad – gli ingegneri italiani sono molto stimati per le loro capacità professionali riconosciute anche dai colleghi tedeschi. Infine altri due elementi ci distinguono nel mondo: il design e la qualità tecnologica delle nostre moto, 44.200 quelle prodotte lo scorso anno”. Tutti elementi che consentono a questa azienda ma, potenzialmente, ad altre imprese italiane di richiamare l’attenzione di finanziatori stranieri.
Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, nel suo intervento si è concentrato sulle cause del calo di consumi in Italia nonostante una rete distributiva moderna e organizzata per quanto riguarda sia il settore alimentare, sia quello non alimentare. “Un calo che non dipende soltanto dalla crisi – ha affermato – ma complessivamente da una serie di fattori, quali un elevato costo del lavoro, dell’energia e dei trasporti che generano un aumento dei costi di produzione e di vendita al consumatore finale, un’evasione fiscale alle stelle, concorrenza sleale, contraffazione e abusivismo oltre ad una quota elevata di disoccupazione e lavoro nero che indeboliscono questo settore”. Per Cobolli Gigli “dobbiamo lasciare i soldi in tasca ai cittadini per far ripartire i consumi interni, considerando che quelli obbligati (ad esempio le tariffe) portano via il 50 per cento della ricchezza delle famiglie, diminuendo la spesa per vestiario e alimentari”. Nonostante le difficoltà il presidente di Federdistribuzione ha sostenuto che l’associazione continua a crescere e a investire in Italia e sui mercati internazionali. “Attendiamo che le promesse fatte dal governo per rilanciare il sistema paese – ha concluso Cobolli Gigli – diventino fatti con le riforme strutturali attese da tutti”.
(A.S., G.G.)

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