Rimini, 22 agosto 2017 – Si è tenuto alle 18:30 il secondo e ultimo appuntamento della giornata del ciclo “Ognuno al suo lavoro”, nell’omonima Arena B1. Ad intervenire sono stati Tommaso Minola, ricercatore in imprenditorialità e family business presso l’Università degli studi di Bergamo, e Stefano Sala, CEO del gruppo Per. Ai relatori è stato chiesto di confrontarsi sul tema dell’innovazione, di raccontare la loro esperienza e provare a spiegare cosa per loro abbia significato fare innovazione nel campo del lavoro.
Prende la parola per primo Sala, 50 anni e 3 figli. Dieci anni fa, dopo aver lavorato per molti anni in multinazionali quotate, decide di stravolgere la sua vita, creando una azienda totalmente nuova. Perché cambiare da un lavoro certo a qualcosa di incerto? « Nel lavoro non esiste solo ciò che si guadagna a livello economico, ma anche un’esigenza profonda di rispondere sempre meglio ai bisogni concreti della gente». Così, quasi di punto in bianco, Sala fonda PER, dedicata all’assistenza delle società colpite da disastri ambientali. E continua: «Abbiamo la strana idea che innovazione sia qualcosa riservato a persone intelligenti, che si chiudono in una stanza e riflettono tutto il giorno sui problemi della vita. Ma l’innovazione di un prodotto non nasce così! È un processo che nasce dall’utilizzo concreto dell’oggetto, quando ne emergono i difetti, di modo tale che ciascuno di noi, mentre sta lavorando, si chiede: ma il lavoro che sto facendo non si può migliorare?». In ciò, risulta necessario soprattutto «dialogare con tutti e relazionarsi agli altri alla pari, oltre che guardare alle cose con grande passione e interesse. L’innovazione non nasce dalla mente di un supereroe, ma attraverso la continua relazione e dialogo con gli altri e con quello che chiede il mercato». E conclude: «Quali ingredienti possono aiutare l’innovazione? Chiedere sempre il parere degli altri, e soprattutto di chi mi contesti, che mi dica dove non sono bravo. Quando vado a parlare con i clienti, ho proprio il bisogno di chiedergli che cosa non gli è piaciuto, perché un giudizio negativo porta sempre dentro un suggerimento positivo».
Condivide tali parole Minola, fondatore di un centro di ricerca sulla nuova imprenditorialità giovanile e familiare. Ma è lui stesso ad essere un innovatore, in particolare nella didattica. Racconta di come abbia visto nel tempo la necessità di modificare il proprio approccio formativo, al fine di dotare i più giovani di strumenti utili all’applicazione in concreto delle conoscenze apprese. Non basta, a suo parere, essere cattedratici, bisogna impostare l’insegnamento sull’apprendimento di skills per risolvere problemi imprenditoriali, tramite la proposizione di casi concreti e una partecipazione attiva ed effettiva. «Certo, ciò implica una maggiore fatica per noi docenti. La didattica, se fatta bene, è molto costosa a livello di energie. Ma vedere i risultati è fantastico». Come esempio cita alcune start-up, come Fermo point o Cooking box, che sono state fondate da suoi studenti e che oramai risultano ben avviate sul mercato.
Minola conclude l’intervento proponendo uno spezzone del famoso cartone “Ratatouille”, dove il temibile assaggiatore Anton Ego afferma, dopo aver degustato il piatto che ha reso famoso il film: «The new needs friends». Questo il senso di tutto l’incontro: «è necessario avere amici in questo progetto di innovazione; se no, da soli, si molla presto. Bisogna cercare di innovare (e innovarsi) sempre, ma non nel senso di sfidare il passato come per cancellarlo. Il presente cambia solo se è sostenuto da un passato solido, che si intende migliorare. L’innovazione ha bisogno di amici, ha bisogno di noi».
(F.Gi.)