“Il motivo stesso dell’esistenza dell’arte è l’emergenza dell’umano”. Così Davide Rondoni ha aperto la serie di incontri con i poeti e gli scrittori del ciclo “In che verso va la vita”. Il verso non è solo evidentemente il verso poetico, ma anche il verso, la direzione di una vita. Il poeta di Forlì ha evidenziato come i poeti siano, sulla scia dei trovatori medievali, “chiarificatori dell’universo” e come essi siano in un certo qual modo “suonati dalle parole”.
Samuele Donati, poeta emergente di Rimini, classe ’85, ha raccontato invece il proprio rapporto con la poesia, “compagna di viaggio e strumento privilegiato per capire, per guardare, come in uno specchio d’acqua, la propria esperienza”. Ha letto alcune poesie della sua raccolta “Non essere soli” (Raffaelli editore), che ha scritto in occasione di eventi drammatici, quali la morte di un’amica e della madre di un suo amico, o di eventi felici, quali la nascita di Elia, il figlio di sua sorella. Fatti che, trasfigurati dalla lingua poetica, mostrano che la poesia è come la crosta, perché “leggere e dire dei pezzi di sé è come strapparsi dei pezzi di carne”.
Anche Gianfranco Lauretano, poeta e scrittore, autore del recente volume “Incontri con Clemente Rebora” (ed. Bur), ha evidenziato che “il fatto stesso che le cose ci siano è il punto di partenza della poesia. Infatti “non c’è prima l’io, ma c’è prima il mondo”, nonostante la tendenza della poesia contemporanea sia quella di “ridurre il senso del lavoro dei poeti a fare poesia”. Le liriche poetiche e la stessa vita di Clemente Rebora, nato a Milano nel 1885 da una famiglia laicista dalle idee liberali e filorisorgimentali, battezzato di nascosto per volere di una zia, giudicato dapprima inadeguato al sacerdozio e infine prete rosminiano, mostrano che è vero l’esatto opposto. Per dirla con lo stesso Rebora, infatti, “santità soltanto compie il canto”. Dunque la poesia non è il fine della vita del poeta, ma soltanto la santità costituisce il pieno compimento della vita dell’uomo. Tale idea si concretizza nella sua esistenza, allorquando, prima di entrare nell’ordine del beato Antonio Rosmini, Rebora volle bruciare le sue liriche, a segno che “la poesia non è il senso della vita, ma è l’ideale che muove il cuore dell’uomo”. Per questo motivo in una lirica del poeta milanese si può leggere: “vorrei palesasse il mio cuore / Nel suo intimo l’umano destino”.
(F.Pi., C.R.)