Nanismo delle imprese, familismo senza respiro, scarsità di imprese di dimensioni rilevanti: è la fotografia del nostro sistema produttivo o si tratta solo di luoghi comuni? La questione è stata sollevata da Enrico Biscaglia, direttore della Compagnia delle Opere, in apertura dell’incontro “Imprese: troppe di piccole o poche di grandi?” Da un lato è vero che il 94% delle aziende italiane ha da 1 a 9 addetti, dall’altro la storia degli ultimi anni ha dimostrato come dalla capacità di fare rete delle piccole imprese possano nascere inaspettate possibilità di sviluppo. “È quanto stiamo facendo come CdO da tre anni proponendo il Matching, un evento business to business di grande successo”.
“Non bisogna giudicare il valore di un’impresa a partire dal numero dei suoi impiegati, ma dal numero e dall’ampiezza dei legami che essa riesce a costruire tra clienti, fornitori e collaboratori in diversi paesi e diversi mercati”. Aldo Bonomi, sociologo e direttore della rivista Aaster, ha provato a evidenziare meglio i termini della discussione definendo il capitalismo italiano “capitalismo delle produzioni complesse”. Ha sfatato, inoltre, il mito del declino che avrebbe coinvolto il mondo imprenditoriale del nostro paese: il giudizio negativo era viziato dall’uso di categorie estranee alla realtà italiana. Quella che è stata erroneamente interpretata come crisi è stata in realtà una fase di ristrutturazione; c’è chi non ce l’ha fatta, ma in molti ne stanno uscendo a testa alta. “Se è vero che in Italia ci sono 7 milioni di micro-aziende attorno a cui ruotano altrettante famiglie, sono almeno 28 milioni i soggetti che campano facendo impresa. Bisogna quindi superare la visione per cui la realtà economica sia composta prevalentemente da pubblico impiego e classe operaia. In Italia non è così”.
Luca Ferrarini, del gruppo Ferrarini-Vismara, ha raccontato per cenni la storia dello sviluppo della sua azienda, passata dalla dimensione familiare a quella internazionale. Fattori fondamentali per questo successo sono stati l’unità della sua famiglia nell’intraprendere il cammino di crescita, l’aver avuto il supporto delle banche (“Ho nostalgia dei tempi in cui la banca locale era disposta ad assumersi parte del rischio imprenditoriale concedendo prestiti sulla base della conoscenza diretta e della fiducia reciproca”) e aver creduto nelle persone, dando loro credito e responsabilità. Da ultimo, ha invitato gli imprenditori a non arrendersi davanti alle difficoltà, come dimostra l’approdo della sua azienda in Giappone, paese molto diverso dal nostro e mercato all’epoca ancora inesplorato, ora secondo mercato per introiti dopo quello italiano.
“Per affermarsi nell’economia globale è necessario superare il contrasto tra capitale e lavoro e promuovere un patto tra imprenditori, sindacati e istituzioni, per creare un sistema paese italiano che sia in grado di competere con le altre potenze mondiali”. Parole di Massimo Calearo, Presidente di Federmeccanica, forte della sua esperienza di imprenditore e responsabile delle contrattazioni sindacali per Confindustria. “Il successo di alcuni distretti italiani deve spingere i protagonisti a continuare a crescere, non tanto in senso strettamente geografico, quanto nel numero e nell’intensità delle relazioni con altri attori internazionali”.
F.T.
Rimini, 20 agosto 2007